Le legge sembra avere dato un giro di vite sui permessi inerenti la norma 104/92. Dopo infatti il caso del lavoratore indagato perchè utilizzava il permesso per seguire anche all'estero la propria squadra impegnata in Champions League, oppure di una lavoratrice che aveva utilizzato alcuni giorni di congedo per andare in vacanza in Africa, la Corte di Cassazione ha legiferato in materia.
La Corte di cassazione ha stabilito con sentenza n. 8784 del 30 aprile scorso che costituisce giusta causa di licenziamento la condotta del lavoratore il quale, durante la fruizione di un permesso retribuito richiesto al datore di lavoro per assistere la madre affetta da grave disabilità, aveva partecipato, in realtà, ad una serata danzante.
La Corte precisa che la richiesta del lavoratore di usufruire di un giorno di permesso retribuito in forza della Legge 104/92 allo scopo di poter assistere il familiare portatore di handicap – a fronte dell’effettivo utilizzo del giorno di permesso per dedicarsi ad un’attività ludica del tutto estranea alla finalità assistenziale propria dell’istituto utilizzato – costituisce condotta contraria al cosiddetto minimo etico, giustificando la sanzione massima espulsiva anche in assenza di previa affissione del codice disciplinare.
L’articolo 33, comma 3, della legge 104/92, sulla scorta del quale il lavoratore aveva richiesto ed ottenuto dall’impresa il godimento di un giorno di permesso retribuito, stabilisce che la fruizione fino ad un massimo di 3 giorni al mese di permessi retribuiti allo scopo di assistere persona con handicap in situazione di gravità è coperta, tra l’altro, da contribuzione figurativa.
La Cassazione, aderendo alle conclusioni raggiunte in secondo grado dalla Corte d’appello, conferma che, poiché il permesso aveva finalità assistenziale nei confronti di un familiare portatore di handicap, l’utilizzo del periodo di sospensione retribuita per finalità estranee all’assistenza configurava indubbiamente una condotta censurabile sul piano disciplinare con l’irrogazione del licenziamento. In contrario avviso, a nulla rilevava che il lavoratore potesse non aver utilizzato l’intero giornata di permesso, bensì una parte soltanto di essa, per coltivare le proprie esigenze ricreative, restando per la parte residua a disposizione della genitrice affetta da disabilità.
Prosegue la Corte osservando che la circostanza di aver utilizzato permessi retribuiti ex lege 104/92 per soddisfare esigenze personali risultava particolarmente odiosa sul piano sociale, in quanto il costo di tale situazione viene sopportato interamente dalla collettività, atteso che è l’ente di previdenza a farsi carico della retribuzione del lavoratore per le giornate di assenza e a subire, inoltre, gli effetti del mancato introito dei contributi per il relativo periodo di astensione dalla prestazione lavorativa.
Ad ulteriore conforto della gravità sul piano disciplinare della condotta inadempiente ascritta al lavoratore soccorrono, ad avviso della Cassazione, i riflessi che ne derivano per la comunità dei lavoratori che operano nell’azienda, i quali sono stati tenuti ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa proprio per sopperire all’assenza del collega in permesso retribuito. Per le stesse ragioni, si rimarca nella sentenza n. 8784 che la gravità disciplinare delle circostanze poste alla base del licenziamento risulta avvalorata dagli effetti pregiudizievoli subiti dal datore di lavoro, costretto ad una diversa riorganizzazione interna per fronteggiare l’assenza del lavoratore apparentemente in permesso per l’assistenza al familiare con handicap.
Alla luce di queste considerazioni, la Corte conclude che il comportamento del lavoratore che abbia usufruito di permessi retribuiti, che sono riconosciuti dall’ordinamento in una prospettiva esclusivamente assistenziale, per soddisfare, invece, proprie esigenze personali, scaricandone il costo sulla collettività, assume un rilevante disvalore sociale ed è tale da giustificare ampiamente l’irrogazione del licenziamento disciplinare.
(Fonte: sole24ore.com)
La Corte precisa che la richiesta del lavoratore di usufruire di un giorno di permesso retribuito in forza della Legge 104/92 allo scopo di poter assistere il familiare portatore di handicap – a fronte dell’effettivo utilizzo del giorno di permesso per dedicarsi ad un’attività ludica del tutto estranea alla finalità assistenziale propria dell’istituto utilizzato – costituisce condotta contraria al cosiddetto minimo etico, giustificando la sanzione massima espulsiva anche in assenza di previa affissione del codice disciplinare.
L’articolo 33, comma 3, della legge 104/92, sulla scorta del quale il lavoratore aveva richiesto ed ottenuto dall’impresa il godimento di un giorno di permesso retribuito, stabilisce che la fruizione fino ad un massimo di 3 giorni al mese di permessi retribuiti allo scopo di assistere persona con handicap in situazione di gravità è coperta, tra l’altro, da contribuzione figurativa.
La Cassazione, aderendo alle conclusioni raggiunte in secondo grado dalla Corte d’appello, conferma che, poiché il permesso aveva finalità assistenziale nei confronti di un familiare portatore di handicap, l’utilizzo del periodo di sospensione retribuita per finalità estranee all’assistenza configurava indubbiamente una condotta censurabile sul piano disciplinare con l’irrogazione del licenziamento. In contrario avviso, a nulla rilevava che il lavoratore potesse non aver utilizzato l’intero giornata di permesso, bensì una parte soltanto di essa, per coltivare le proprie esigenze ricreative, restando per la parte residua a disposizione della genitrice affetta da disabilità.
Prosegue la Corte osservando che la circostanza di aver utilizzato permessi retribuiti ex lege 104/92 per soddisfare esigenze personali risultava particolarmente odiosa sul piano sociale, in quanto il costo di tale situazione viene sopportato interamente dalla collettività, atteso che è l’ente di previdenza a farsi carico della retribuzione del lavoratore per le giornate di assenza e a subire, inoltre, gli effetti del mancato introito dei contributi per il relativo periodo di astensione dalla prestazione lavorativa.
Ad ulteriore conforto della gravità sul piano disciplinare della condotta inadempiente ascritta al lavoratore soccorrono, ad avviso della Cassazione, i riflessi che ne derivano per la comunità dei lavoratori che operano nell’azienda, i quali sono stati tenuti ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa proprio per sopperire all’assenza del collega in permesso retribuito. Per le stesse ragioni, si rimarca nella sentenza n. 8784 che la gravità disciplinare delle circostanze poste alla base del licenziamento risulta avvalorata dagli effetti pregiudizievoli subiti dal datore di lavoro, costretto ad una diversa riorganizzazione interna per fronteggiare l’assenza del lavoratore apparentemente in permesso per l’assistenza al familiare con handicap.
Alla luce di queste considerazioni, la Corte conclude che il comportamento del lavoratore che abbia usufruito di permessi retribuiti, che sono riconosciuti dall’ordinamento in una prospettiva esclusivamente assistenziale, per soddisfare, invece, proprie esigenze personali, scaricandone il costo sulla collettività, assume un rilevante disvalore sociale ed è tale da giustificare ampiamente l’irrogazione del licenziamento disciplinare.
(Fonte: sole24ore.com)
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