sabato 13 giugno 2015

IL LAVORO E LA LEGGE - LA CORTE DI CASSAZIONE STABILISCE I CRITERI PER DEFINIRE IL MOBBING

Quante volte sul luogo di lavoro presi dallo sconforto abbiamo pensato: "adesso gli faccio causa per mobbing", magari perchè alle prese con un superiore indisponente che secondo noi ci penalizza, senza essere coscienti che l'onere della prova sarebbe stato tutto sulle nostre spalle. Ora perdipiù la Corte di Cassazione, crea un vero e proprio vademecum in materia, al quale guardare attentamente se si vuole provare la propria condizione di "mobbizzato".
Sta al lavoratore che si sente sottoposto a mobbing provare che la sua condizione rispecchia i parametri indicati dalla Corte di Cassazione.
Mobbing, come riconoscerlo in modo certo? La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza, la numero 10037/2015, che specifica le condizioni in base alle quali il lavoratore può verificare se nel suo caso ricorrono i presupposti per chiedere e ottenere un risarcimento da parte del proprio datore di lavoro per comportamenti vessatori.
I giudici di legittimità hanno quindi dato piena cittadinanza nella nostra giurisprudenza a un riconosciuto metodo scientifico di valutazione del danno lavorativo. Spetta al lavoratore che si sente vittima di mobbing provare che la sua condizione rispecchia i seguenti parametri. Ecco quali sono secondo la Suprema corte, i “requisiti” che un dipendente mobbizzato deve avere per fare causa al proprio superiore, datore di lavoro etc.. Perché si configuri il mobbing devono ricorrere tutti e sette, non uno di meno. 
Sette parametri con cui la vittima deve provare di essere stata danneggiata sul lavoro: ambiente, durata, frequenza, tipo di azioni ostili, dislivello tra antagonisti, andamento per fasi successive, intento persecutorio. Perché si configuri il mobbing devono ricorrere tutti e sette, non uno di meno. 
Le vessazioni devono dunque avvenire sul luogo di lavoro (1). I contrasti, le mortificazioni o quant’altro devono durare per un congruo periodo di tempo (2) ed essere non episodiche ma reiterate e molteplici (3). Deve trattarsi di più azioni ostili, almeno due di queste (4): attacchi alla possibilità di comunicare, isolamento sistematico, cambiamenti delle mansioni lavorative, attacchi alla reputazione, violenze o minacce. 
Occorre il dislivello tra gli antagonisti, con l’inferiorità manifesta del ricorrente (5). La vicenda deve procedere per fasi successive come: conflitto mirato, inizio del mobbing , sintomi psicosomatici, errori e abusi, aggravamento della salute, esclusione dal mondo del lavoro (6). Oltre a tutto quanto elencato, bisogna che vi sia l’intento persecutorio (7), ovvero un disegno premeditato per tormentare il dipendente. In definitiva la Cassazione, mette i paletti alle cause di risarcimento. Quindi non tutte le angherie patite sul luogo di lavoro possono essere risarcite e sette criteri di giudizio sono molti e per il lavoratore, potrebbe diventare difficile dimostrare il mobbing dovendoli rispettare tutti insieme, ma al contempo disincentivando azioni legali precipitose legali di mobbizzati fittizzi.

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