lunedì 20 maggio 2013

VALE LA PENA RIDURRE L'IMU PER POI AUMENTARE L'IVA?

UN INTERESSANTE ARTICOLO DI GIORGIO DELL'ARTI APPARSO OGGI SULLA PAGINA ALTRI MONDI DELLA GAZZETTA DELLO SPORT
Accantonata per un attimo la faccenda dell’Imu (bisognerà riformare la tassa entro il 31 agosto) l’attenzione degli uffici studi e dei giornali si concentra sull’Iva, che il prossimo 1° luglio dovrebbe aumentare di un altro punto: dall’attuale 21 al 22%.
Che significa in termini di costi per le famiglie?
Ieri c’è piovuto sul tavolo un calcolo della Confcommercio: il previsto aumento dell’Iva dal 21% al 22% dal prossimo 1° luglio comporterà, per una famiglia di 3 persone, una peso finanziario di 135 euro in media l’anno. L’associazione dei commercianti fa l’elenco dei beni che saranno più colpiti: vino, birra, carburanti, riparazioni auto, abbigliamento, calzature, mobili, elettrodomestici, giocattoli, computer. Il rincaro dei carburanti avrà effetti su tutto il commercio, dato che provocherà un aumento nel costo dei trasporti. La Cgia di Mestre – ufficio studi degli artigiani – raccomanda: «Bisogna assolutamente scongiurare questo aumento. Se il governo Letta non lo farà, corriamo il serio pericolo di far crollare definitivamente i consumi, con gravi conseguenze per artigiani e commercianti, che vivono quasi esclusivamente di domanda interna». La Confcommercio fa commenti dello stesso tenore, ricordando che per l’80 per cento il nostro Pil è mosso dai consumi. Confcommercio ha anche valutato che, se si mettono insieme gli aumenti dell’Iva, la Tares e l’Imu di giugno al netto del rinvio per le prime case, l’aumento di costi per le famiglie risulta di 734 euro in tutto il 2013. Carlo Sangalli, presidente della Confcommercio, prevede che la contrazione dell’attività potrebbe avere conseguenze gravi per 26 mila negozi. «Conseguenze gravi» significa rischio chiusura.
Quanti soldi ci vorrebbero per non toccare l’imposta?
Il punto di Iva in più vale 2,1 miliardi di euro nel 2013 e 4,2 miliardi nel 2014. L’aliquota standard, quella cioè che dovrebbe essere portata al 22%, insiste sul 70% dei beni. Nel 30% che non sarà toccato dall’aumento ci sono i generi di prima necessità, alimentari, sanità, istruzione, abitazione eccetera, tutti beni che sopportano un’Iva del 10 o del 4%. Ci sono però altre considerazioni da fare.
Sentiamo.
La prima riguarda la falsità dell’equazione “aumento dell’Iva = aumento delle entrate”. Ho sotto gli occhi un’analisi di Roberto Convenevole, che è stato capo dell’Ufficio studi dell’Agenzia delle Entrate, relativo ai primi cinque mesi del 2012, quando l’Iva venne portata dal 20 al 21%: le entrate nette calarono del 5,91%, con una perdita di 260 milioni al mese. Convenevole: «L’aumento dell’aliquota Iva dal 20 al 21% si è rivelato una misura inefficace e controproducente. Anziché assicurare l’incremento di gettito, ha fatto crescere l’evasione fiscale, rendendola più remunerativa». È lo stesso discorso che faceva Laffer, il consulente di Ronald Reagan: tu non puoi aumentare la pressione fiscale all’infinito. Da un certo momento in poi, ogni aumento della pressione provoca diminuzione delle entrate, perché evadere diventa troppo conveniente e il rischio vale la candela. L’evasione dell’Iva ha poi anche una serie di effetti indiretti.
Cioè?
L’Iva si evade non emettendo uno scontrino oppure concordando con il cliente uno sconto in cambio della mancata emissione della fattura. L’evasione dell’Iva è dunque un modo per nascondere fatturato e rende possibile una forte evasione sulla tassazione dei redditi. A guardare la cosa da questo punto di vista, verrebbe voglia di suggerire al governo di abbassarla, l’Iva, al 15%!
Quanto si paga di Iva all’estero?
La Grecia l’ha già portata al 23%. L’Iva più alta è nei paesi nordici: 25% in Danimarca e Svezia, 24% in Finlandia. Il record è in Ungheria: 27%. Al 15% ce l’hanno il Lussemburgo e Madeira. Nelle Canarie è addirittura al 7%. Da noi l’Iva evasa corrisponde a un 30% dell’Iva totale che il Fisco dovrebbe incassare. In cifre assolute si tratta di una quarantina di miliardi. La questione è anche politica: si deve spostare la tassazione sui consumi e sui patrimoni liberando un minimo i redditi o bisogna continuare a spremere i redditi, che poi sono, in gran parte, i redditi dei lavoratori dipendenti? Quello che sembra impossibile o altamente sconsigliabile è di aumentare l’Iva e le altre varie forme, più o meno occulte, di patrimoniali, lasciando le aliquote Irpef e il resto allo stesso livello di prima. In quel caso è ovvio che i cittadini tenteranno in ogni modo di evadere. Che altro potrebbero fare?

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