sabato 2 maggio 2015

SETTORE DEGLI ELETTRODOMESTICI: UN COMPARTO SULL'ORLO DEL BARATRO. URGONO SOLUZIONI PIUTTOSTO CHE CHIACCHIERE.

"Whirlpool e Indesit, se fossero andate avanti separatamente, probabilmente un futuro non lo avrebbero mai avuto". Le parole di Davide Castiglioni, ad di Whirlpool Emea, espresse all'interno della trattativa per la vertenza Whirlpool/Indesit che si stà svolgendo in queste settimane, oltre che rafforzare la bontà del merger dello scorso anno, fotografano il settore del bianco in Italia. Ovviamente il riferimento è anche agli altri player del settore, soprattutto quelli provenienti dai paesi degli occhi a mandorla,  come Lg, Samsung, Haier, ma anche dalla Turchia che giocano questa partita globale con regole diverse e a loro più vantaggiose, nonchè la concorrenza dei paesi dell'Est Europa, frequente meta di delocalizzazione da parte degli stessi produttori italiani.
Un altro scivolone per l’industria degli elettrodomestici italiana, alle prese con una crisi che non è congiunturale, ma strutturale, il settore, negli ultimi anni, ha subito pesanti processi di riorganizzazione e ristrutturazione, con un forte ridimensionamento della capacità produttiva e dei livelli occupazionali. L’anno scorso la produzione nel Belpaese di grandi elettrodomestici si è assestata sotto i 12 milioni di pezzi, esattamente a 11,65 milioni stimato da Ceced Italia, l’associazione dei costruttori. Il dato negativo è che, dopo anni di cali, nel 2014 la produzione si è ulteriormente contratta del 2%, contro il -0,1% dell’industria manifatturiera. In una dozzina di anni la produzione nell’ex fabbrica europea del Bianco si è più che dimezzata: è scivolata da oltre 30 milioni di pezzi a meno di 12. Spesso le produzioni hanno preso la via della Polonia o dell’Est o sono state tagliate a causa di una domanda europea debole. A valore il calo è stato contenuto nel 30% grazie agli investimenti in innovazione tecnologica.  «Se i volumi produttivi hanno un impatto significativo sui livelli occupazionali - spiega Franco Secchi, fabrianese, presidente appena riconfermato di Ceced Italia (ora vice presidente di Whirlpool ma ex direttore mercato Italia di Indesit) - non raccontano la verità del cambiamento vissuto dal settore: il passaggio dalle produzioni di massa, entry level, a un’offerta qualificata nell’alto di gamma, dove premia il valore aggiunto dell’Italian lifestyle». Infatti è arrivata al 70% la produzione in Italia degli elettrodomestici di maggior efficienza energetica. Il valore aggiunto del  design italiano, unito alla tecnologia, è palpabile anche nell’incremento (+ 16,6%) dell’export dei piani cottura nel primo trimestre 2015. Tuttavia il forte calo produttivo in Italia è stato uno choc: negli ultimi anni sono stati chiusi diversi stabilimenti e delocalizzate produzioni con un ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali da parte di big player come Whirlpool (che ha in ballo la chiusura del polo di Carinaro e del centro di ricerche di None), Electrolux, Indesit e Candy. Fino alla stessa cessione di Indesit da parte dei Merloni. A margine poi ci sono le migliaia di piccole aziende della componentistica, che non fanno notizia, ma che hanno chiuso i battenti, ridotto l’attività o sono state costrette a  seguire il commmittente all’estero. Nonostante tutto l’industria del Bianco rimane uno dei comparti di punta della nostra manifattura per il contributo oggetto alla bilancia commerciale: il giro d’affari rimane vicino ai 15 miliardi, con un export non lontano dai 10 miliardi e un saldo attivo prossimo ai 7 miliardi, senza dimenticare che occupava nel nostro paese circa 130,000 addetti tra diretti ed indiretti e rappresenta il secondo settore manifatturiero dopo l'automotive.  Per bloccare l’emorragia, l’anno scorso le imprese hanno proposto al Governo “Il progetto Orizzonte”, che punta sulle produzione dell’alto di gamma, più ecologiche e performanti. Servono però un mix di misure: dagli incentivi di lunga durata al sostegno alla ricerca fino allo sblocco delle risorse incappate nelle maglie della burocrazia. Il tavolo ministeriale per il rilancio degli elettrodomestici era stato avviato il 4 febbraio 2014 ma dopo «la tiepida accoglienza (per non dire il disinteresse) riservata al Progetto Orizzonte - aggiunge Secchi - il Governo, impegnato nella gestione delle crisi, ha continuato a non ritenere prioritario il tavolo elettrodomestici aperto al Mise, con due soli incontri nel 2014». Il governo però ha concesso il bonus sulle ristrutturazioni edilizie (65%), il bonus mobili (50%) esteso agli elettrodomestici, il recepimento della Direttiva Raee 2 e il successivo Accordo di programma con le controparti del Sistema Raee, il credito fiscale del 30% per le apparecchiature professionali per la ristorazione comprese nelle ristrutturazioni alberghiere. E ora? «Dobbiamo far ripartire il tavolo elettrodomestici - conclude Secchi - spingere sui certificati bianchi e rendere più incisive e stabili le misure per far spingere la domanda». 
Ed anche intorno alla vicenda Whirlpool/Indesit, un pò simbolo del malessere del settore, in queste settimane si sono succedute tante parole da parte dei politici, chiacchiericcio nauseante, sterile, quanto inutile, se la vendita di Indesit agli yankees fosse stata più o meno un'operazione fantastica, per lo più pronunciate in chiave elettoralistica che altro, la solita caterva di tante quanto inutili interrogazioni parlamentari. Eppure sarebbe bastato ad esempio che i politici avessero sollecitato negli anni scorsi l'attivazione del tavolo dell'elettrodomestico, così come il sindacato aveva richiesto all'allora ministro Passera, nell'anno 2012, facendo pressing sul Governo. Ma probabilmente molti di essi neanche sanno di cosa si tratti. 
Ecco i punti di quella "piattaforma" sindacale di settore:
Definire un piano pluriennale di incentivi all'acquisto delle apparecchiature a maggior efficienza e a minor consumo energetico, anche attraverso la rottamazione delle vecchie apparecchiature e prevedendo limiti sulle caratteristiche delle classi energetiche commercializzabili nel nostro paese, nonché riservando gli incentivi alle apparecchiature dei produttori “socialmente responsabili” secondo gli standard europei.
1. ha un effetto positivo sul risparmio della bolletta energetica nazionale e delle famiglie, qualificando il consumo energetico,
2. sostiene le attività degli stabilimenti italiani focalizzati da anni su queste produzioni,
3. produce ritorni per l'occupazione e per la fiscalità, diretta e indiretta.
Introdurre controlli di conformità sulle apparecchiature importate da paesi Ue ed extra-Ue.
1. aumenta la sicurezza dei consumatori e diminuisce gli infortuni domestici con ricadute positive sulla spesa sanitaria delle famiglie e della collettività,
2. favorisce la consapevolezza dell'acquisto responsabile.
Incentivare fiscalmente le aziende che non delocalizzano le produzioni, mantengono i
livelli occupazionali ed effettuano nel nostro paese investimenti e attività di R&D, in sinergia con le Regioni maggiormente coinvolte, potenziando il concetto di “Italian
Engineering, Italian Style, Italian Made”.
1. dovrebbe passare innanzitutto attraverso l’incentivazione e la defiscalizzazione degli investimenti sia in Ricerca e sviluppo, sia in impianti fissi, con evidenti effetti positivi di moltiplicatore del reddito.
2. Dovrebbe giungere ad un generale alleggerimento fiscale sulle attività che devono competere sui mercati internazionali e che sono rivolte all’export, anche interno all’Europa come tipicamente è quello degli elettrodomestici.
Incentivare politiche attive del lavoro e ripristinare gli incentivi alla occupazione, oltre
che giovanile, di quanti attualmente sono in cassa integrazione o addirittura in mobilità.
Definire modalità di utilizzo degli ammortizzatori sociali utili a superare il limite di tre anni nel quinquennio, finanziando adeguatamente la cassa integrazione in deroga, particolarmente utile per le imprese dell’indotto spesso di piccole dimensioni, e sostenendo i contratti di solidarietà “difensivi” per i quali chiediamo, in prospettiva per i prossimi anni:
1. il finanziamento necessario a garantire l'attuale integrazione (pari all'80% all'epoca, oggi al 70%) del trattamento perso dai lavoratori a seguito della riduzione di orario
2. il finanziamento necessario a sostenere la decontribuzione alle imprese che utilizzano il contratto di solidarietà (così come è stato previsto dalla legge 236/93 art.5 e dal 1993 sostenuto attraverso il rifinanziamento fino a tutto il 2008).
Rafforzare i criteri utili al riconoscimento delle “mansioni usuranti” con particolare riferimento al lavoro in catena di montaggio.

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