martedì 15 ottobre 2013

A CUORE APERTO - C'ERA UN RAGAZZO CHE... PICCOLA STORIA DI UNO STABILIMENTO

16 OTTOBRE 1986 - 16 OTTOBRE 2013, DOMANI SARANNO 27 GLI ANNI DI “ONORATA CARRIERA” SPESA, CON ORGOGLIO, ALLA INDESIT DI MELANO. E PENSARE CHE ANCHE ALLORA, I “VECCHI” DELLA FABBRICA MI DICEVANO: “TANTO MELANO TRA POCO CHIUDE…”.  
MA SONO QUI A RACCONTARE LA STORIA DI UNO STABILIMENTO “HIGHLANDER”, IMMORTALE CHE DA SEMPRE RIFUGGE AD UN DESTINO CHE SEMBRA PERENNEMENTE SCRITTO E PER QUESTO NE ALIMENTA IL FASCINO E L’ATTACCAMENTO, NON FOSSE ALTRO CHE MI HA VISTO ENTRARE RAGAZZO, ACCOMPAGNANDOMI FINO ALL’ETA’ DI MEZZO E SPERIAMO ANCHE PIU’ AVANTI… CI HANNO PROVATO IN TANTI A “CHIUDERLO” MA ALLA FINE HA ACCOLTO DUE DEI PERSONAGGI  SIMBOLO DELLA NOSTRA STORIA CONTEMPORANEA, PAPA GIOVANNI PAOLO II° E IL PRESIDENTE PERTINI. ED OGGI E’ ALLE PRESE CON L’ULTIMA, FORSE LA PIU’ DURA DELLE BATTAGLIE… 
“21 luglio 2006, a Melano-Marischio, stabilimento della Indesit-Company finisce un epoca, durata quasi quaranta anni, quella del frigorifero, per aprirsene (forse) un'altra, quella della cottura”. Questo l’incipit di un articolo che scrissi alcuni anni orsono dal titolo: “L’ultimo frigorifero” e a seguire, integralmente il capitolo dedicato allo stabilimento di Melano-Marischio ed alla sua storia, quella che ho vissuto sulla mia pelle…. L’ANOMALIA DI MELANO Oggi a dominare è la globalizzazione, neologismo a farla da padrone nei nostri discorsi quotidiani, con la famigerata delocalizzazione, la sua espressione più eloquente. Nuovi mercati su cui puntare sono quelli dell’est europa, dalle grosse capacità, sia produttive per i bassi costi della manodopera ed appetibili come mercato di vendita, i produttori emergenti di oggi, saranno i mercati emergenti di domani. Oggi come oggi, lo stabilimento di Melano-Marischio, sta vedendo la produzione degli ultimi frigoriferi, per lasciare posto ai prodotti della cottura, così come previsto dall’accordo sulla sua riconversione, siglato lo scorso anno. Dopo circa quaranta anni, il sito della Indesit Company, vedrà cambiare la propria mission produttiva. Costruito nel 1969, e che l’anno successivo vide nascere la produzione di frigoriferi, trasferendo ed ampliando l’esperienza dell’Alia, un’azienda del settore con sede a Milano, acquistata dall’allora Ariston nel lontano 1966; negli anni ruggenti, in cui la globalizzazione e la delocalizzazione neanche si sapeva cosa fossero, venivano sfornati circa 3000 pezzi quotidiani, per un totale di 600000 frigoriferi all’anno, impiegando anche oltre 600 operai, in una vera e propria crescita esponenziale, rappresentando per oltre tre lustri anche uno sbocco occupazionale per numerosi lavoratori delle zone limitrofe al fabrianese, come la vicina Umbria, il primo pesarese, ma anche per maestranze provenienti anche da altre parti d’Italia. Eppure a Melano, stabilimento da sempre penalizzato per le proprie dimensioni in termini di volumi, quando il limite per la sopravvivenza era 1 milione di pezzi, di sfide, lavoratori e sindacato ne hanno giocate e vinte tante, dalla flessibilità a volte innovativa, che costringeva a lavorare come matti, come le due settimane di ferie ad agosto, invece delle tre settimane tradizionali o le quattro di tutte le altre aziende del circondario, oppure il sabato pomeriggio lavorativo o le feste comandate od il ciclo continuato, oppure i sabati lavorati in estate con il recupero in periodi di bassa stagionalità, quando non c’era lavoro, in autunno ed in inverno, per il frigorifero, per poter arrivare prima degli altri sui mercati internazionali o come ad esempio il premio 2004 come migliore stabilimento dell’Indesit Company per la qualità realizzata. Un traguardo non di poco conto, se si pensa che tra i paletti del successo odierno c’è anche questo fattore, al quale il cliente oltre all’estetica ne fa una necessità per fidelizzarsi ad un “brand”, come si dice oggi, il marchio come si diceva ieri. Eppure neanche la flessibilità chiesta ed ottenuta, oggigiorno non basta più. E non si parla di chissà quanti anni fa, ma di un paio, al massimo tre anni fa. E neanche nel 1997, nella tragica situazione post-terremoto, dove era emerso con chiarezza lo spirito più autentico delle popolazioni, con molti lavoratori provenienti dalla penalizzata Umbria, che pur convivendo con la terra che trema, ma che andava puntualmente a lavorare, si era arrestata la crescita e di volumi e di occupazione di uno stabilimento, situazione che esprimeva l’atavica inclinazione dei marchigiani e dei loro “cugini” umbri, di lavorare come matti, tanto da diventare quasi ideologia produttiva. C’erano due leve per poter crescere, innovazione e disponibilità della gente, e a questa gente, si poteva chiedere qualsiasi cosa. Il saper fare, la tenacia, la passione, l’orgoglio e l’impegno dei discendenti del “metalmezzadro”, la figura dell’operaio-contadino, un tempo irrisa dai supporter e dai soloni dell’industria metropolitana, al centro del modello marchigiano, con ai vertici fabbrica, casa e famiglia, erano stati vincenti non erano stati scalfiti, così come le idee di Aristide Merloni, che affondavano le radici nell’Italia contadina ed artigiana del ’900. Del resto in quegli anni, era difficile resistere al fascino del reddito, dell’occupazione, del benessere, della ricchezza prodotta, delle auto e delle case possedute in ogni famiglia, che aumentavano in maniera esponenziale, in cui tutto andava come un “treno”. Erano gli anni in cui il “piccolo è bello”,una nuova “via italiana al capitalismo”, una grande onda, uno tsunami, come si definirebbe oggi che ha portato vantaggi e benessere a tutti, da imprese a lavoratori al sindacato stesso. Ma di tutte le sette “majors”, ossia gli elettrodomestici bianchi di grandi dimensioni, il più sofferente di tutti è sicuramente il frigorifero, prodotto dato per morto per raggiunta maturità da diversi anni, sostanzialmente povero (un compressore ed una scatola metallica), dai limitati ambiti di innovazione, che d’altro canto per le sue dimensioni elevate, esige alti costi di trasporto, fattore quest’ultimo non di poco conto visto che i mercati di sbocco, come detto sono quelli dell’est europa, e quindi purtroppo, appare lapalissiano produrlo laddove si può vendere, essendo industrialmente presenti nel mercato che si vuole presidiare, sia per una questione di sviluppo del business, che per ottimizzare i costi, senza dimenticare, ad esempio che la metà degli elettrodomestici Indesit è venduta sui nuovi mercati. La competizione con i produttori emergenti, sia asiatici ma anche turchi è giocata sul costo di produzione, e guardando il costo del lavoro, 2 € in Russia, 3 € in Polonia, 4 € in Turchia, si capisce perché i produttori italiani siano svantaggiati. I paesi dell’europa dell’est, soprattutto quelli da poco entrati a far parte della UE, spinti anche dall’impulso e dall’ansia di modernizzazione, offrono condizioni ideali, dati i bassi salari, il buon livello di qualificazione della manodopera, le tradizioni industriali, l’alto tasso di disoccupazione e l’ansia di entrare a far parte del gruppo di punta dell’economia mondiale, a costo di rinunciare ai vecchi sistemi di protezione sociale, dove a volte la deregulation socio-economica regna assoluta e dove anche la tutela sindacale dei lavoratori risulta praticamente assente. Insomma governi che riformano le leggi ed offrono condizioni uniche, come ad esempio i prezzi competitivi dell’energia, una fiscalità sulle imprese bassa, ad esempio in Polonia, quest’ultimo aspetto, pesa la metà rispetto all’Italia. E nel paragone,il costo del lavoro si riduce addirittura a un quarto, tra orari più lunghi, vacanze più corte, stipendi contenuti e oneri ridotti. Tutti fattori decisivi per le scelte produttive e commerciali, perché rendono competitivo il rapporto fra numero e costo di addetti e quantità prodotte, facendo divenire questi paesi dei veri e propri “paradisi produttivi”, e delle calamite per gli investimenti. Finche c’era crescita economica, per le aziende italiane era fondamentale il vantaggio del prodotto derivante dalla creatività, innovazione, design e meno importanza si dava ai processi organizzativi. Oggi invece, quella formula industriale, che comunque stranamente continua a destare interesse all’estero, sembra essere entrata in crisi, giacchè in molti aspetti della produzione, si lavora limando i centesimi. La liberalizzazione del commercio mondiale e l’eliminazione delle frontiere segnano la fine di antiche certezze e senza inoltre poter più contare sulla leva della svalutazione alla bisogna della “defunta” lira, che tanti vantaggi sul mercato mondiale ci ha regalato. Altro problema contingente del settore freddo è stata la contrazione dei consumi, che ha penalizzato i budget improntati alla crescita, dopo che negli ultimi due anni si era venduto parecchio. Ecco quindi la decisione di puntare sui due grandi poli del freddo da parte di Indesit Company, quello di Lodz in Polonia e Lipetzk in Russia, mentre in Italia, resta lo stabilimento di Carinaro a Caserta, dove la standardizzazione del prodotto rende ancora competitiva la sua produzione in Italia. Così i prodotti di cottura in vetroceramica che stanno uscendo, da fine 2005 ed inizio 2006, perlopiù built-in, da incasso, che sostituiranno i frigoriferi, sono più facili da trasportare, viste le loro dimensioni ed inoltre l’alto contenuto di design e tecnologia, con conseguenti margini di guadagno, rendono possibile la loro produzione in Italia, oltre ad esaltare il marchio e le capacità tecniche rispetto alla concorrenza. Secondo gli analisti del settore, si salveranno solo le produzioni di fascia alta, quelle di prodotti ad alto valore aggiunto, dove i clienti sono disposti a riconoscere il valore della marca, mentre il resto è destinato ad essere delocalizzato. Una via quella dell’est, dalla Polonia alla Repubblica Ceca, all’Ungheria, alla Romania che ha subito un colpo di acceleratore, grazie anche ai ricavi sotto pressione da un lato e la pressione sui prezzi, determinata dalla concorrenza delle tigri asiatiche, una vera e propria guerra selvaggia che ha bruciato spazi di manovra, azzerando o quasi i margini di guadagno; perseguita anche dagli altri produttori di frigoriferi ed elettrodomestici in genere, da Candy, a Whirlpool, a Zanussi ai coreani, costruendo siti produttivi o acquistando stabilimenti già attivi in quei paesi, nei quali in passato venivano indirizzate le esportazioni. Anche la Antonio Merloni, il terzista più grande del settore, che ora sta riconvertendosi alla valorizzazione dei marchi propri, aprirà un sito in Ucraina. E qualcuno si è spinto ancora più ad est, in Asia o nel centro america. Si sa l’economia, è una scienza triste, guidata da leggi spietate, che propongono a velocità supersonica una trasformazione radicale dell’ambiente industriale nel quale siamo cresciuti e abbiamo prosperato e se non le conosci, ti assesta certe mazzate da lasciarti di sasso.

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