Questa anomala estate che sta ormai volgendo al termine, oltre alle angosce del clima, ai mondiali di calcio è stata caratterizzata da un vocabolo che ci ha martellato quasi quotidianamente: la deflazione. Eravamo abituati all'inflazione, che si ha quando i prezzi aumentano, la deflazione è in definitiva il suo contrario: la riduzione del livello assoluto dei prezzi. Per anni gli economisti ci hanno riempito le orecchie con lo spauracchio dell’inflazione che erodeva i risparmi, che riduceva il potere d’acquisto dei salari e che, provocando aumento dei tassi d’interesse, impediva alle imprese di accedere al credito, oltre che rendere i mutui per l'acquisto di case esorbitanti da rimborsare.
La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, che, in regime di deflazione, sono incentivati a posticipare nel tempo gli acquisti di beni e servizi non indispensabili, con l'aspettativa di ulteriori cali dei prezzi, con l'effetto di innescare una spirale negativa. Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori.
La riduzione dei prezzi si ripercuote conseguentemente per le imprese sui ricavi, anch'essi generalmente in calo. Ne deriva il tentativo da parte delle imprese di ridurre i costi, attraverso la diminuzione dei costi per l'acquisto di beni e servizi da altre imprese, del costo del lavoro e tramite un minor ricorso al credito.
La deflazione può essere buona, quando la diminuzione dei prezzi è dovuta ad abbondanza di offerta: ad esempio un favorevole raccolto agricolo o i progressi tecnologici o salto di qualità nella concorrenza, basti pensare alle riduzioni nel tempo dei prezzi dei gadget elettronici o agli effetti della liberalizzazione delle telecomunicazioni, come le tariffe dei telefonini. Oppure, purtroppo come quella in atto, può essere cattiva, quando è dovuta a bassa domanda, una sorta di anoressia dell'economia e complica la politica monetaria, perché per stimolare l'economia bisognerebbe spingere i tassi d'interesse sotto lo zero, cosa che non è possibile. Ma paradossalmente c'è anche chi dalla deflazione riesce a guadagnarci qualcosa: per esempio, i pensionati. Più deflazione c'è, più aumenta il potere d'acquisto del loro reddito. Storture di una economia malata che nessuno sembra in grado di guarire...
La deflazione può essere buona, quando la diminuzione dei prezzi è dovuta ad abbondanza di offerta: ad esempio un favorevole raccolto agricolo o i progressi tecnologici o salto di qualità nella concorrenza, basti pensare alle riduzioni nel tempo dei prezzi dei gadget elettronici o agli effetti della liberalizzazione delle telecomunicazioni, come le tariffe dei telefonini. Oppure, purtroppo come quella in atto, può essere cattiva, quando è dovuta a bassa domanda, una sorta di anoressia dell'economia e complica la politica monetaria, perché per stimolare l'economia bisognerebbe spingere i tassi d'interesse sotto lo zero, cosa che non è possibile. Ma paradossalmente c'è anche chi dalla deflazione riesce a guadagnarci qualcosa: per esempio, i pensionati. Più deflazione c'è, più aumenta il potere d'acquisto del loro reddito. Storture di una economia malata che nessuno sembra in grado di guarire...
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