62 giorni sono passati dal 4 giugno, allorquando l’Indesit Company rese noto al mondo il suo piano di salvaguardia e razionalizzazione dell’assetto in Italia. Un vero e proprio tsunami per i lavoratori del gruppo, devastante per il territorio fabrianese per dipiù enunciato da un’azienda che ha fatto con orgoglio della “responsabilità sociale” uno dei propri marchi di fabbrica di cui andare fiera. Ed è giunto il periodo delle ferie agostane, quanto mai bramate e necessarie per ricaricare le pile, dopo lo stress in quantità industriale accumulato negli ultimi due mesi, ma non spensierate come quelle degli anni precedenti. Ammesso che ci siano le condizioni di spirito, potrai essere al mare, in montagna, a casa, all’estero, da solo o in compagnia, ma la testa, il pensiero, sarà sempre li, al lavoro, al posto di lavoro mai in pericolo come questa volta. La memoria non può non andare alle ferie rolling di un decennio orsono. Era il 2003-2004, solamente due settimane di ferie continuate ad agosto in cambio di un’altra settimana da godersi da giugno a settembre e soprattutto 225 euro (45 il giorno) in tasca, bella cifra non c’è che dire, tanto che furono le due settimane con il più basso assenteismo della storia dello stabilimento di Melano, un vero e proprio laboratorio di relazioni sindacali, dove sono state sperimentate in passato forme di orari tra le più disparate. Quanti ricordi si sono condivisi nelle varie giornate di lotta, di presidio, quante aspettative, paure e perché no speranze per un futuro migliore, storie personali, problemi si sono intrecciati nelle discussioni quotidiane nell’ottica comune di salvaguardare il lavoro e regalare un futuro alle generazioni a venire, in una terra che in passato ha sempre saputo regalare un’opportunità a tutti. Tra le tante parole, punti di vista, confidenze scambiate, momenti di pianto, sono rimasti impresse nella mia memoria un paio di aneddoti raccontatimi da due colleghe e sul loro modo di rapportarsi in questo difficile momento con i figli, appunto quelle generazioni a venire alle quali cercare di regalare un futuro con delle prospettive. Di una collega, sposata e con il marito dipendente dell’ex Antonio Merloni, mi ha colpito la preoccupazione che sconfinava nelle sue parole nella disperazione, mentre a stento tratteneva il pianto, di non poter forse, se muteranno le condizioni economiche far continuare negli studi il figlio, bravo e volenteroso, cui piace tanto studiare, tarpandogli le ali di un futuro ricco di soddisfazioni, migliore del suo futuro. Ma forse la cosa è più difficile da raccontare, spiegare e far comprendere a una bambina di undici anni. Infatti, un'altra collega, con anche il compagno che lavora all’Indesit, mi diceva che nel periodo iniziale della vertenza, quello in cui anche i suoi genitori apparivano in tv, e nel quale era inevitabile non parlare nel ménage familiare della vertenza, la figlia, appunto undicenne, con candore sconvolgente e disarmante semplicità gli chiese: ” mamma, ma che vuoi dire che ora diventeremo poveri anche noi?”. Domande ancora senza risposte per persone che magari hanno visto lavorare a Melano il padre o il nonno, che hanno vissuto di pane e frigoriferi, pane e lavatrici e che non sarà facile convincere che questo piano, allo stato attuale delle cose, possa regalare loro un futuro, magari dopo l’ennesima sfida fatta di sacrifici, perché questi in fondo non preoccupano se la strada da percorrere ancorché irta di ostacoli, possa regalare un futuro, magari da riscrivere, scampando dal baratro di una desertificazione che fa paura.
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