giovedì 20 giugno 2013

LA QUESTIONE INDUSTRIALE- LA CRISI INDEBOLISCE LA FABBRICA DEL "BIANCO"

ESATTAMENTE 50 ANNI FA, NEL 1963, CRESCEVAMO COME OGGI CINA, BRASILE E INDIA MESSI INSIEME. VENDEVAMO ELETTRODOMESTICI A TUTTO IL MONDO, OGGI FORSE QUEL MIRACOLO SI E' INFRANTO E CON ESSO ANCHE I SIMBOLI DI QUELL'EPOCA, DEL BOOM ECONOMICO, UNO DEI QUALI FU PROPRIO LA PRODUZIONE DI ELETTRODOMESTICI

La recente dichiarazione della Indesit Company di voler dimezzare i livelli occupazionali della produzione in Italia, si inserisce nella più ampia crisi del settore dell’elettrodomestico che un tempo rappresentava la seconda industria del Paese (come fatturato e livelli occupazionali), dopo quella dell’auto. La filiera del bianco nel 2012, rispetto all’anno precedente, ha proseguito il trend di riduzione delle vendite: - 4% per le lavatrici, - 4,7% per i frigoriferi, - 6,7% per le lavastoviglie, - 8% per i forni a incasso e addirittura - 18% per le cucine a libera installazione.
Non se la passano meglio nemmeno i piccoli elettrodomestici con i cali di friggitrici, ferri da stiro, asciugacapelli , microonde etc. I volumi complessivi si sono dimezzati in soli dieci anni, passando da 30 a 15 milioni di pezzi prodotti, con i frigoriferi che sono quasi spariti dalle nostre fabbriche; il calo è dovuto quasi principalmente alla competizione di nuovi produttori (turchi, coreani, asiatici in generale, Europa dell’Est), alle delocalizzazioni verso i Paesi a basso costo del lavoro, la stagnazione dei mercati occidentali.
Sono rimaste alcune produzioni (quelle che le aziende indicano come quelle a maggior valore aggiunto) e i laboratori di riceca; eppure l’industria dell’elettrodomestico fattura ancora 12 miliardi di euro (60% di export) e occupa circa 130.000 addetti tra diretti e indiretti.
A pesare è il calo della domanda europea di elettrodomestici “bianchi” che negli ultimi anni ha fatto registrare un – 20% in Italia e – 45% in Spagna, Portogallo e Grecia accelerando i processi di delocalizzazione produttiva verso i Paesi dell’Est e le chiusure di alcuni Gruppi.
Tutti i principali Gruppi e distretti hanno pesantemente ridimensionato produzioni e livelli occupazionali.
La Lombardia, che un tempo era una delle aree che ospitava una delle maggiori concentrazioni di industria del bianco, adesso sta perdendopezzo dopo pezzo. La Candy ha chiusolo stabilimento di Santa Maria (Lecco) ed ha accorpato tutta la produzione a Brugherio annunciando 266 esuberi e ricorrendo ad un
piano di contratti di solidarietà e ancora in questi mesi si palesano grandi difficoltà. Le produzioni Candy di Santa Maria sono state trasferite in Cina. In provincia di Varese la Whirlpool ha annunciato nel 2011 495 esuberi, poi ridotti a 295 grazie all’esodo incentivato di 200 persone: intende chiudere una linea di produzione presso lo stabilimento di Cassinetta. La Indesit ha chiuso lo stabilimento in provincia di Bergamo dove lavoravano 388 addetti ed è in corso un difficile processo di reindustrializzazione del sito.
A Casale Monferrato, un tempo il “polo del freddo”, sono rimaste una decina di aziende con un migliaio di addetti in totale. Per questo Casale guarda a Smirne, città turca, con 450 aziende del freddo, delle quali 80 di grandi dimensioni. Ovviamente il vantaggio della Turchia rispetto al Piemonte è il basso costo del lavoro; così mentre in Italia possono rimanere solo alcune parti (o prodotti) di produzione, nei paesi emergenti si spostano grandi quantità di produzione. E così a Casale rimangono solo quote minori, come per la
Embraco (che produce compressori per refrigerazione) la cui parte produttiva prevalente è in Brasile, Cina e Slovacchia.
Sul versane Nord Est del Paese, la Electrolux ha realizzato in questi anni pesanti piani di ristrutturazione (sempre dietro minaccia di delocalizzazioni ancor più dure di quelle effettivamente realizzate) con la riduzione dei volumi produttivi (Susegana da oltre 1 milione di pezzi a 725.000, Porcia da 2 milioni di pezzi a 1,3 milioni) e con immediate conseguenze occupazionali: 250 eccedenze a Susegana, 198 a Porcia e 171 a Forlì. Poiché la gestione delle eccedenze si è rivelata insufficiente con il “solo” utilizzo della Cassa Integrazione (per tentare operazioni di esodi incentivati o di avviamento verso nuovi lavori, che ovviamente
non ci sono), in marzo è stato definito anche un accordo per il ricorso a 24 mesi di contratti di solidarietà difensivi. L’utilizzo dei lavoratori è improntato alla massima flessibilità tutta a vantaggio dell’azienda: nell’agosto 2012 a fronte di una grossa commessa Ikea i lavoratori sono stati richiamati dalla Cig e dalle ferie per lavorare a pieno ritmo.
Anche nelle Marche la crisi si è fatta sentire. Il terzista Antonio Merloni privo di marchi forti è in amministrazione straordinaria (aveva 3.000 addetti). Ma anche per le altre aziende del territorio, Indesit, Ariston, Elica, Faber, Tecnowind, Thermowatt, Best, le cose non vanno certo bene con le vendite in pesante calo come ben documentato nello studio della Fondazione Merloni; una situazione di difficoltà che aveva già cominciato a manifestarsi nel 2004 e che poi è esplosa con la crisi nel 2009. Ormai anche i produttori di componenti si spostano all’estero inseguendo le delocalizzazioni dei produttori – assemblatori
(essendo i produttori sostanzialmente degli assemblatori, la pressione sui fornitori, ormai anch’essi
globalizzati, è fortissima). Ad esempio alcuni fornitori di Elica, che ha stabilimenti in Polonia, Cina, India, Messico hanno deciso di seguirla anche all’estero per non perdere le commesse. Anche la Indesit si rifornisce in tutto il mondo, le imprese del distretto forniscono solo le componenti a maggior valore
tecnologico, ma motori elettrici e frontalini della lavatrici arrivano dalla Cina. Per questo la Vic (Viterie) hanno seguito in Europa dell’Est Indesit, Electrolux e Whirlpool; la Comelit di Castelfidardo ha aperto uno
stabilimento a Bejing in Cina ecc.
In questa situazione di pesante ridimensionamento dell’elettrodomestico è arrivato il recente annuncio della Indesit dell’ennesimo Piano di riorganizzazione che, dopo le chiusure degli anni precedenti (Treviso,Bergamo, Torino), annuncia un Piano da 1.425 esuberi; a questi se ne devono aggiungere altri 330 in quanto risultano tutt’ora a carico della Indesit 110 lavoratori a Bergamo, 200 a Torino e 20 a Treviso.
Nel giro di tre anni, quindi, la Indesit si propone di ridimensionare in maniera pesantissima la propria presenza in Italia: si tenga presente, infatti, che dei 1.425 esuberi dichiarati, ben 1.250 sono operai. Questa cifra corrisponde al 50% dei lavoratori destinati alla produzione industriale che verrebbe così ulteriormente ridotta e trasferita all’estero. E’chiaro che così facendo la Indesit prepara il disimpegno definitivo dal nostro Paese. A Fabriano verrebbe chiusa la produzione dei piani cottura (in parte delocalizzati nell’Est
Europa) con la chiusura del sito di Melano; Caserta perderebbe le lavatrici con la chiusura di Teverola; Ascoli perderebbe una parte di lavatrici. Due anni fa, quando ci furono le chiusure dei tre stabilimenti del Nord, Indesit delocalizzò le produzioni in Polonia dove un operaio viene pagato l’equivalente di 250
euro al mese.
Per questo serve immediatamente da parte del Governo   una politica industriale per l’intero settore, che renda competitive le produzioni sfornate nella penisola e permetta alle aziende di non essere fuori mercato.

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