mercoledì 30 settembre 2015

I NUOVI CONGEDI PARENTALI PROROGATI ANCHE DOPO IL 2015

Via libera alla proroga delle misure volte alla conciliazione delle esigenze di cura, vita e lavoro oltre il 2015. Lo prevede il decreto legislativo 148/2015 in vigore dal 24 settembre 2015. Con questa modifica il Governo rende in sostanza strutturali i nuovi congedi parentali e i congedi per le donne vittime di violenza, come riformati di recente dal decreto legislativo 80/2015, che tuttavia li aveva limitati al solo anno 2015 in attesa che si reperissero le risorse per una proroga oltre il 2015. Risorse che sono state individuate dall’articolo 42 comma 2 del citato decreto in misura pari a circa 130 milioni di euro annui. Dunque, i congedi parentali sino al dodicesimo anno del bambino potranno essere fruiti anche dopo il 2015. Le misure sono state stabilizzate con il decreto di riforma degli ammortizzatori sociali.
Il Legislatore con il D.Lgs. n. 80 del 15.06.2015 ha introdotto alcune rilevanti modifiche in materia di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro in attuazione di quanto previsto dal Jobs Act (Legge n. 183 del 10.12.2014).
Con il Jobs act, infatti, sono stati incrementati i periodi in cui è possibile godere dei congedi parentali. Oltre all’astensione obbligatoria, è previsto il congedo pagato al 30% fino ai 6 anni del bambino (prima era 3 anni) e quello non retribuito (se non in casi particolari) fino ai 12 anni (prima 8 anni). Sarà possibile godere di questi periodi di astensione anche frazionati ad ore. Tutti i trattamenti sono equiparati tra genitori naturali e adottivi. Alle lavoratrici autonome sarà pagata la maternità anche se il datore di lavoro non ha versato i contributi. In caso di parti prematuri o di ricovero del neonato non si perdono i giorni di congedo.
Inoltre, per i casi di cessazione o modificazione del rapporto lavorativo: il termine iniziale dell’intervallo di tempo da considerare per quantificare i mesi di congedo parentale, coincide con la data di presentazione della domanda. Pertanto, il nuovo termine coincide con la data di presentazione della domanda, mentre il termine finale con il giorno di cessazione del rapporto lavorativo, da intendersi quale ultimo giorno lavorato, ovvero con il giorno di modifica del rapporto lavorativo.
Qui di seguito un riepilogo schematico:
Primi 30 gg. di congedo con retribuzione pari al 100% se fruiti nei primi 12 anni del bambino (prima era 8 anni); art. 12, comma 4: “ Nell'ambito del periodo di astensione dal lavoro previsto dall'art. 32 ,comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 151/2001 [per ogni figlio nato, NEI PRIMI SUOI 12 ANNI DI VITA per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi…(nuovo art. 32 comma 1 lett. a) D.lgs. n. 80/2015 ) ], per le lavoratrici madri o in alternativa per i lavoratori padri, i primi trenta giorni, computati complessivamente per entrambi i genitori e fruibili anche in modo frazionato, non riducono le ferie, sono valutati ai fini dell'anzianità di servizio e sono retribuiti per intero, con esclusione dei compensi per lavoro straordinario e le indennità per prestazioni disagiate, pericolose o dannose per la salute”.
L'indennità economica, pari al 30% della retribuzione, indipendentemente dal reddito individuale, per i restanti periodi fino al sesto anno di vita del bambino (prima era 3° anno);
Il congedo eventualmente fruito dai 6 ai 12 anni del bambino è indennizzato al 30% dai 6 agli 8 anni solo qualora il richiedente abbia un reddito inferiore a 2,5 volte il trattamento minimo pensionistico (per l'anno 2015 Euro 16.327,68);
Nessuna retribuzione per il congedo fruito dagli 8 ai 12 anni del bambino.

Tali novità sono riferite ovviamente ai periodi di congedo parentale che finora non stati mai fruiti o a quelli eventualmente residui.
Congedo di maternità. La proroga delle novità interessa anche il congedo obbligatorio di maternità con la possibilità per la madre di sospenderlo in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata. Se pertanto il bambino viene ricoverato nel periodo previsto per la cosiddetta astensione obbligatoria (tre o quattro mesi dopo il parto) il periodo può essere sospeso e riprenderà a decorrere dopo le dimissioni del figlio, a condizione che la lavoratrice produca una attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della donna con la ripresa dell’attività lavorativa. Il diritto della sospensione del congedo può essere esercitato una sola volta per ogni figlio. L’altra importante novità è l’estensione del diritto a percepire l’indennità di maternità (direttamente dall’Inps) anche nel caso di risoluzione del rapporto per giusta causa, precedentemente escluso.
Sempre in materia di congedi di maternità si prevede che i giorni di congedo non goduti prima del parto (a causa di anticipo dello stesso rispetto alla data presunta) si aggiungono al periodo di congedo obbligatorio spettante dopo il parto anche qualora il periodo di congedo obbligatorio di maternità superi il limite di cinque mesi.
Vittime di Violenza. Stabilizzato anche il nuovo congedo per le donne vittime di violenza. In particolare, alle lavoratrici dipendenti, pubbliche e/o private, e alla collaboratrici a progetto, inserite in percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, tali certificati dai servizi sociali del comune di residenza o dai centri antiviolenza o dalle case rifugio, hanno il diritto di astenersi dal lavoro (sospensione del contratto, nel caso di co.co.pro.) per motivi connessi al percorso di protezione per un periodo massimo di tre mesi.
La fruizione oraria del congedo parentale La circolare 152 del 18 agosto, INPS, da istruzioni in merito alle modalità di fruizione del congedo parentale, non trattato nelle precedenti comunicazioni. Con la legge di stabilità del 2013 (legge 228/2012) venne introdotta la possibilità, per i genitori lavoratori dipendenti, di usufruire del congedo parentale a ore ma solo nel caso in cui la contrattazione collettiva ne definisse le modalità di fruizione. Di fatto tale previsione ha impedito l’effettiva fruizione del congedo con modalità oraria. Il Dlgs 80/2015 modifica ulteriormente l’art.32 del TU maternità/paternità con l’introduzione di un criterio generale di fruizione del congedo in modalità oraria anche laddove vi sia assenza di previsione contrattuale collettiva nazionale o aziendale. 
La fruizione in modalità oraria è possibile nella misura del 50% dell’orario medio giornaliero del periodo di paga immediatamente precedente l’inizio del congedo parentale, salvo diversa previsione contrattuale. L’introduzione della modalità oraria non modifica ovviamente la durata del congedo parentale, i limiti complessivi e individuali rimangono invariati. Da notare che se la fruizione di un periodo di congedo parentale avviene su base oraria (nella stessa giornata presente sia ’attività lavorativa che assenza per congedo a ore), le domeniche e, nel caso di settimana corta, i sabati, non sono considerati né ai fini del computo né ai fini dell’indennizzo. Il congedo parentale usufruito in modalità oraria non è cumulabile con altri permessi o riposi concessi ai sensi del Testo Unico sulla tutela della maternità/paternità: il congedo ad ore non può essere fruito nei medesimi giorni in cui il genitore fruisce di riposi giornalieri ex allattamento ((artt.39 e 40 TU) oppure nei giorni di fruizione dei riposi orari (art. 33 del TU) per assistenza ai figli disabili. È compatibile invece con i permessi o riposi disciplinati da norme diverse dal Testo Unico, come ad esempio quelli previsti dalla legge 104/92. Sono comunque prevalenti eventuali diverse norme di compatibilità previste dalla contrattazione collettiva anche di livello aziendale. Le ore di congedo parentale sono coperte da contribuzione figurativa. Preavviso: il genitore richiedente è tenuto a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri previsti dai contratti di lavoro e comunque, con un termine non inferiore a 5gg, in caso di richiesta di congedo parentale mensile o giornaliero, e non inferiore a 2 giorni in caso di congedo orario. La domanda di congedo parentale va inoltrata all’INPS con la sola modalità telematica utilizzando la procedura INPS. L’alternativa: part-time invece del congedo parentale In luogo della fruizione del congedo in modalità oraria (oppure mensile o giornaliero) è possibile chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro. Lo prevede l’art.8, comma 7, di un altro decreto legislativo varato in attuazione del Jobs Act, il n° 81/2015 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni). Il lavoratore puo' chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale od entro i limiti del congedo ancora spettante , la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, purche' con una riduzione d'orario non superiore al 50 per cento. Cosa conviene?: la trasformazione del rapporto può essere chiesta anche in misura inferiore al 50% del normale orario di lavoro, mentre, invece, la fruizione in modalità oraria del congedo, come detto, è fissata in misura pari al 50% dell’orario medio giornaliero. Questa è una prima differenza che va tenuta presente dai genitori. Inoltre la trasformazione del rapporto in PT rende compatibile l’utilizzo dei permessi per ex allattamento (due ore o una se l’orario giornaliero è inferiore alle 6 ore) che compatibili non sono in caso di fruizione del congedo in modalità oraria. Per contro la riduzione d’orario per trasformazione del rapporto di lavoro ovviamente non è retribuita mentre il congedo usufruito in qualsiasi modalità è indennizzato al 30% della retribuzione quantomeno fino ai 6 anni di vita del figlio. Anche i termini per la decorrenza del congedo sono diversi: Il datore di lavoro e' tenuto a dar corso alla trasformazione del rapporto di lavoro entro quindici giorni dalla richiesta, contro i due giorni per la richiesta di congedo ad ore.

domenica 27 settembre 2015

FONDO COMETA: DA OTTOBRE ATTIVO IL NUOVO COMPARTO "SICUREZZA 2015"

Dall’ormai prossimo mese di Ottobre sarà attivo "SICUREZZA 2015", il nuovo comparto garantito di COMETA, il fondo di previdenza complementare dei metalmeccanici, che si poteva scegliere dal primo luglio scorso, accedendo alla propria posizione in Cometamatica.
Il nuovo comparto si è reso necessario in quanto il comparto Sicurezza, che continuerà ad operare e a ricevere i contributi dei lavoratori che lo hanno scelto con decorrenza prima del 30/04/2015, ai sensi delle convenzioni stipulate con i gestori e comunicate agli aderenti tramite nota informativa non accetta nuove adesione fino alla scadenza del 30/04/2020.
Il comparto Sicurezza 2015 presenta caratteristiche di costo e garanzie contrattuali diverse dal precedente comparto garantito.
L’investimento è finalizzato a massimizzare il rendimento atteso, considerato il rischio assunto, di livello basso, entro un orizzonte temporale di 5 anni, prevedendo una politica d’investimento idonea a realizzare, con buona probabilità, rendimenti pari o superiori a quelli del TFR.
Garanzia: il comparto è caratterizzato da una garanzia di restituzione del capitale, al netto delle spese di iscrizione, delle spese direttamente a carico dell’aderente e delle spese per l’esercizio di prerogative individuali, per gli aderenti che avranno mantenuto la propria posizione nel comparto fino al 30/04/2020. Entro tale data, è garantita la restituzione del capitale versato rivalutato pro rata temporis di un rendimento minimo pari al tasso di rivalutazione dell’inflazione italiana, esclusivamente qualora si realizzi in capo agli aderenti uno dei seguenti eventi: esercizio del diritto alla prestazione pensionistica; riscatto per decesso; riscatto per invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo; riscatto per inoccupazione per un periodo superiore a 48 mesi; anticipazione per spese sanitarie.
Qualora alla scadenza della convenzione in corso (30/04/2020) venga stipulata una convenzione che, fermo restando il livello minimo di garanzia richiesto dalla normativa vigente, contenga condizioni diverse dalle attuali, COMETA comunicherà agli iscritti interessati gli effetti conseguenti.

Fino ad Ottobre 2015 i flussi di TFR conferiti tacitamente sono destinati al comparto SICUREZZA, ma sarà chiuso a nuove iscrizioni tramite switch da Novembre 2015 i flussi di TFR conferiti tacitamente sono destinati al comparto SICUREZZA 2015.


VOUCHER INPS, PER LAVORO OCCASIONALE, COME FUNZIONANO

sabato 19 settembre 2015

LA MIA PENSIONE - VIDEO TUTORIAL DELL'INPS





UN INTERESSANTE SERVIZIO PROPOSTA DALL'INPS AI LAVORATORI CHE COMODAMENTE DAVANTI UN PC POTRANNO CONOSCERE UTILISSIMI INFORMAZIONI SULLA PROPRIA QUIESCENZA.

mercoledì 16 settembre 2015

METASALUTE NEWS


Il Fondo MètaSalute è nato nel novembre 2011 a seguito della sottoscrizione da parte di Federmeccanica, Assistal, Fim e Uilm dell'accordo di istituzione del fondo nazionale di assistenza sanitaria integrativa per i lavoratori del settore metalmeccanico e dell'installazione di impianti in attuazione al "Protocollo per la costituzione del Fondo di assistenza sanitaria" di cui al CCNL del 15 ottobre 2009. Le elezione svoltesi dal 27 maggio al 7 giugno scorsi sono stati eletti i 30 nuovi componenti dell'Assemblea dei Delegati, 15 in rappresentanza dei lavoratori e altrettanti dei datori di lavoro. Il 13 luglio scorso a Roma presso la sede di Federmeccanica si è svolta l'assemblea dei delegati che ha ha eletto il Consiglio di Amministrazione e il Collegio dei sindaci, nonchè alcune modifiche allo Statuto del Fondo.
MètaSalute, fornisce prestazioni sanitarie integrative attraverso una gestione indiretta delle risorse contributive affidata a un gestore assicurativo specializzato, che per il triennio 2013-2015, poi prolungato fino al 31 dicembre 2016, è stato UniSalute Spa. A fine del 2014 gli iscritti al Fondo erano circa 90.000 lavoratori metalmeccanici e di questi  nel corso del 2014, circa 37.000 di essi hanno beneficiato delle prestazioni. Come emerge dall'analisi delle prestazioni fornite, in termini quantitativi gli indennizzi sono stati prevalentemente relativi alla prevenzione, cure e protesi odontoiatriche e terapie conservative, confermando il trend del 2013, poi al secondo posto le indennità sostitutive per ricoveri presso le strutture del servizio sanitario nazionale. Esaminando i numeri quindi risulta premiata la scelta del Consiglio di Amministrazione di MètaSalute di indrizzare nel piano sanitario maggiori risorse per le cure odontoiatriche. Il piano sanitario 2015, attualmente in vigore, ha visto l'innalzamento dei massimali per le prestazioni contemplate nel precedente piano, la nuova garanzia per le visite specialistiche con un massimale annuo pari a 300,00 € e una franchigia di 20 € per ogni visita effettuata presso strutture convenzionate di Unisalute e di 10 € per le prestazioni fruite presso il SSN, il rimborso del ticket per Alta specializzazione nel limite di spesa annuale di 200 € e la garanzia cosiddetta "Pacchetto prevenzione" attivabile senza prescrizione medica e finalizzata a monitorare l'eventuale presenza di stati patologici. Inoltre sempre dal 1° gennaio 2015 sono partiti due pacchetti integrativi, con premio annuo rispettivamente di 150 e 250 euro, al quale hanno aderito al momento circa una quarantina di aziende.
E con la modifica dell'articolo 4 dello Statuto, avvenuto in occasione dell'Assemblea, tra i destinatari delle prestazioni del Fondo, ci saranno anche i componenti del nucleo familiare del lavoratore dipendente iscritto al fondo, con nuove opportunità che renderanno più interessante l'adesione a MètaSalute.

domenica 13 settembre 2015

WHIRLPOOL/INDESIT: SVOLTO IL TAVOLO TERRITORIALE PER L'INTEGRAZIONE DEL POLO MELALBA

Mentre era in svolgimento a Berlino la Fiera mondiale dell’Ifa, la più importante in ambito europeo dedicata alla tecnologia e all’elettronica, alla quale ha partecipato per la prima volta il colosso americano insieme a Indesit in uno stand di oltre 3000 metri quadrati, dove sono state lanciate le prime novità tecnologiche della Whirlpool che uniscono sempre di più design ricercato e alte prestazioni ( a tal proposito grosso successo ha riscosso un piano speciale prodotto a mano), si è svolto presso lo stabilimento di Albacina il tavolo territoriale informativo sull’integrazione degli stabilimenti fabrianesi di Melano e Albacina, che vedrà secondo quanto stabilito nell’accordo quadro del 2 luglio scorso, la creazione del polo della produzione area Emea dei piani cottura a Melano e la chiusura di Albacina, il cui shutdown è previsto per la prossima estate. Whirlpool sta accelerando il piano d’investimenti e prevede che entro il 2017, dodici mesi prima del previsto, Melano dovrebbe vedere installata la capacità produttiva di 2,3 mln di pezzi. Nell'incontro svoltosi congiuntamente con le Rsu dei due stabilimenti e le strutture territoriali di Fim, Fiom e Uilm, la Whirlpool ha anche ribadito che tutti gli operai che da Albacina saranno gradualmente trasferiti a Melano, alcuni dei quali già lo sono stato, seguiranno corsi di formazione specifici per le nuove produzioni. Intanto il piano sta andando avanti e le prime due linee spostate da Wroclaw in Polonia sono già arrivate, prossimamente ne arriverà un'altra e poi seguirà il ritorno a Melano di linee e produzioni spostate a Carinaro secondo quanto previsto nel vecchio accordo Indesit del dicembre 2013. L’ultimo step sarà lo spostamento delle produzioni dei piani di Cassinetta. In fase di studio inoltre la definizione dello spostamento dell’impiantistica “pesante”, come smalteria e presse che comunque l’azienda ha confermato che avverrà, rendendo la fabbrica effettivamente “integrata verticalmente” e la collocazione del reparto “prodotti speciali”. E molto probabilmente il plant di Melano non dovrebbe essere interessato fino alla fine dell’anno da altre giornate di cassa integrazione straordinaria.
Prossimamente inoltre dovrebbe svolgersi l’analogo tavolo concernente, la parte impiegatizia, che ha visto i lavoratori interessati ricevere prima delle ferie la lettera di conferimento d’incarico e che dallo scorso 1° settembre, avranno un anno di tempo per accettare o meno il trasferimento conseguente all’integrazione delle funzioni, che vedrà la creazione di due sedi amministrative, a Varese e a Fabriano.
(Lo stabilimento di Melano - Marischio)


sabato 12 settembre 2015

LA MANCATA CONFERMA PER IL 2015 DELLA DETASSAZIONE DEL 10% POTREBBE METTERE A RISCHIO IL BONUS RENZI, MA LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE TI POTREBBE AIUTARE

La mancata conferma per l’anno 2015 della detassazione al 10% delle somme percepite dal lavoratore dipendente frutto di accordi sindacali o premi di risultato aventi come fine il miglioramento della competitività aziendale, potrebbe mettere a rischio, oltre al vantaggio fiscale implicito della norma, anche in alcune circostanze il percepimento degli 80 euro di credito irpef derivante dal Bonus Renzi. Infatti l’agevolazione fiscale della detassazione, prevedeva per il 2014 un’aliquota ridotta al 10% per i premi di produzioni e premi di risultato e altre voci di salario legate ad incrementi di produttività dell’azienda frutto di accordi sindacali fino a un tetto massimo di 3.000 euro lordi di premio per chi non superasse i 40.000 euro di reddito da lavoro dipendente nel 2013. Per il 2015 però la norma, introdotta nel 2012 non è stata prorogata, in quanto non sono state trovate le necessarie coperture finanziarie, pertanto ai premi nonché eventualmente agli straordinari non solo non può essere applicata l’aliquota agevolata del 10 per cento, ma sono a tutti gli effetti imponibili a livello fiscale le normali aliquote a scaglioni previste dal Tuir.
Fino a tutto il 2014 questi premi, dal punto di vista fiscale, venivano considerati salario di produttività e quindi soggetti a tassazione separata e agevolata al 10%. Tale regola ha facilitato la diffusione accordi sindacali e aziendali in quanti gli stessi comportavano pure per le imprese vantaggi fiscali e contributivi. 
Ad esempio un lavoratore con un reddito di 26.500 euro (di cui 3.000 generati dal premio di risultato) nel 2014 ha pagato l’Irpef su 23.500 euro; per i 3.000 residui ha beneficiato di una tassazione del 10% e di un credito d’imposta irpef di circa 640 euro (gli 80 euro al mese del bonus Renzi stabilito da Decreto Legge n° 66 del 24 aprile 2014). A conti fatti, pertanto, il reddito netto di tale lavoratore è stato di 21.790 euro circa. L’assenza della proroga dell’agevolazione fiscale per il 2015 comporta invece, da subito, la scomparsa della tassazione agevolata per il salario di produttività. Il lavoratore-tipo, quindi, nelle medesime condizioni - reddito di 26.500 euro (di cui 3.000 pagati con il premio di risultato) - si vedrà tassata l’intera cifra con le aliquote Irpef e, non avendo quote sottoposte a tassazione separata, disporrà di un reddito superiore ai 24mila euro, limite stabilito per poter beneficiare dei famosi 80 euro al mese ( che saranno 960 euro nel 2015).
E’ evidente che leggendo, fino a 24.000 euro spettano 640 euro (80 euro circa in busta paga per 8 mesi da maggio a dicembre 2014), mentre tra 24.000 euro e 26.000 c’è un ricalcolo. Più aumenta il reddito e più scende il bonus (es. a 25.000 euro di reddito, il credito spettante scende a 320 euro invece di 640 euro, la metà). Chi supera i 26.000 euro perde il diritto.
Ricapitolando quindi:
1) a 640 euro, se il reddito complessivo non è superiore a 24.000 euro;
 2) a 640 euro, se il reddito complessivo è superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro. Il credito spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 26.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 2.000 euro”.
Ma c’è un modo per “aggirare” questa situazione?  Certamente e si chiama previdenza complementare Infatti se il lavoratore decidesse di accantonare una parte del suo reddito nel fondo pensione, per noi metalmeccanici COMETA, aumentando ad esempio la quota mensile versata nel proprio comparto, ridurrà il “reddito complessivo” conteggiato ai fini fiscali, generando un significativo risparmio fiscale, che avrebbe benefiche ricadute anche su altri elementi come detrazioni da lavoro dipendente, assegni per nucleo familiare e reddito ISEE, tutti aspetti da prendere in considerazione.







giovedì 10 settembre 2015

JOBS ACT: RAZIONALIZZAZIONE DELLE INTEGRAZIONI SALARIALI

Nel decreto attuativo del Jobs Act, viene prevista una revisione della durata massima complessiva delle integrazioni salariali: per ciascuna unità produttiva, il trattamento ordinario e quello straordinario di integrazione salariale non possono superare la durata massima complessiva di 24 mesi in un quinquennio mobile. Utilizzando la CIGS per causale contratto di solidarietà tale limite complessivo può essere portato a 36 mesi nel quinquennio mobile, perché la durata dei contratti di solidarietà viene computata nella misura della metà per la parte non eccedente i 24 mesi e per intero per la parte eccedente.
Quindi semplificazioni per la richiesta dalla Cigo e sulla Cigs in particolare semplificazioni nella consultazione sindacale:
“all’atto della comunicazione alle associazioni sindacali, viene meno l’obbligo per l’impresa di comunicare i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità di rotazione;
per quanto riguarda i criteri di scelta e rotazione, viene stabilito che la congruità dei criteri di scelta si valuta sulla coerenza con le ragioni per cui viene richiesto l’intervento;
vengono abrogate le norme sulla rotazione, complicatissime e di difficile attuazione, e le sanzioni che ne conseguivano. D’ora in poi, le sanzioni (semplificate) si applicano solo per il mancato rispetto delle modalità di rotazione concordate nell’esame congiunto”.
Nelle procedure e nei tempi:
“sarà possibile richiedere CIGS per tutto il periodo necessario (direttamente 24 mesi per riorganizzazione).
Per i contratti di solidarietà (che diventano una causale di CIGS, prendendone tutte le regole), anche 36 mesi  di fila in presenza di determinate condizioni.
La CIGS parte 30 giorni dopo la domanda (per le richieste presentate a decorrere dal 1 novembre 2015)”.
Inoltre utilizzando la CIGS per causale contratto di solidarietà tale limite complessivo può essere portato a 36 mesi nel quinquennio mobile, perché la durata dei contratti di solidarietà viene computata nella misura della metà per la parte non eccedente i 24 mesi e per intero per la parte eccedente. L’intervento straordinario di integrazione salariale può essere concesso per una delle seguenti tre causali:
riorganizzazione aziendale (che riassorbe le attuali causali di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale), nel limite di 24 mesi in un quinquennio mobile;
crisi aziendale, nel limite di 12 mesi in un quinquennio mobile. A decorrere dal 1° gennaio 2016, non può più essere concessa la CIGS nei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa. Viene previsto tuttavia un fondo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, che consente la possibilità di autorizzare, previo accordo stipulato in sede governativa, un ulteriore intervento di integrazione salariale straordinaria per una durata massima rispettivamente di dodici mesi nel 2016, nove nel 2017 e sei nel 2018, qualora al termine del programma di crisi aziendale l’impresa cessi l’attività produttiva, ma sussistano concrete prospettive di rapida cessione dell’azienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale;
contratto di solidarietà, sino a 24 mesi in un quinquennio mobile, che possono diventare 36 se l’impresa non utilizza CIGO o altre causali di CIGS nel quinquennio. Gli attuali contratti di solidarietà di tipo “A”, previsti per le imprese rientranti nell’ambito di applicazione della CIGS, diventano quindi una causale di quest’ultima e ne mutuano integralmente le regole in termini di misura della prestazione e di contribuzione addizionale. La riduzione media oraria non può essere superiore al 60 per cento dell’orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati al contratto di solidarietà. Viene inoltre previsto, a tutela del lavoratore, che per ciascun lavoratore, la percentuale di riduzione complessiva dell’orario di lavoro non può essere superiore al 70 per cento nell’arco dell’intero periodo per il quale il contratto di solidarietà è stipulato.

martedì 8 settembre 2015

FONDO COMETA:RENDIMENTI MESE DI AGOSTO 2015


Dopo il rimbalzo molto consistente del mese di luglio che sembrava aver fatto dimenticare la volatilità e i segni meno del mese di giugno, con i mercati azionari e obbligazionari, che dopo il rischio “greco”  avevano fatto registrare una robusta ripresa, i quattro comparti della pensione di scorta dei metalmeccanici fanno segnare nuovamente il passo e lo fanno in maniera pesante, con cali vistosi nei rendimenti. Quasi invariato il comparto Monetario Plus che sembra tenere, evidente invece è quello del comparto Crescita, con anche  Sicurezza e Reddito con il segno meno.

lunedì 7 settembre 2015

SULLE PENSIONI SERVE EQUITÀ E TRASPARENZA NON BUFALE CONTRO IL SINDACATO

I sindacalisti sono lavoratori con diritti e doveri come tutti gli altri.

Sulla pensione dei sindacalisti un po’ di chiarezza visto che girano informazioni  sulla stampa totalmente distorte, probabilmente non a caso.
Peraltro anche il presidente dell'Inps Boeri ha contribuito a tale disinformazione pubblicando sul suo sito web lo schema della normativa, confondendo però diversi aspetti e affermando erroneamente che ai sindacalisti si applicherebbero norme speciali sulla contribuzione e la pensione.

Va invece ribadito che ai sindacalisti si applicano le stesse norme che valgono per i lavoratori del settore di provenienza.
Nel nostro caso la pensione è calcolata, dal 1993, sulla media retributiva degli ultimi 10 anni. Precedentemente al ‘93 era calcolata sulla media retributiva degli ultimi 5 anni.
Dal 2011 la pensione viene calcolata sui contributi effettivamente versati.
Queste sono le norme che valgono per tutti i lavoratori, compresi i sindacalisti.
Inoltre, per sgombrare il campo da ulteriori bufale: i sindacalisti non percepiscono 2 pensioni, come ha ripetuto qualche giornale (che per queste fandonie nei mesi passati è stato condannato per diffamazione (ignoranza o malafede?).
I sindacalisti percepiscono una pensione che, a parità di retribuzione, è esattamente uguale a quella di qualsiasi altro lavoratore.
I sindacalisti sono lavoratori in aspettativa non retribuita dalla propria azienda, che operano nel sindacato. I contributi in parte sono accreditati figurativamente sulla base della retribuzione teorica che si sarebbe percepita in azienda, secondo quanto prevede lo Statuto dei diritti dei Lavoratori, e in parte sono pagati dal sindacato (in quanto datore di lavoro) sulla retribuzione che eccede quella base. La differenza può essere significativa se si tiene conto che nella retribuzione base non maturano gli elementi di anzianità, gli scatti di anzianità, i passaggi di categoria, i premi legati alla presenza al lavoro, ecc., del normale percorso professionale.

Il risultato di tutto questo è che il sindacalista al momento di andare in pensione percepirà la medesima pensione del lavoratore che lavora in azienda. In caso contrario, con il riferimento alla retribuzione base dell'azienda al momento dell'aspettativa sindacale (senza cioè il versamento aggiuntivo di contributi) avrebbe una pensione ingiustamente e fortemente decurtata  rispetto agli altri lavoratori.
La norma di legge intende quindi assicurare parità di trattamento tra i lavoratori dello stesso settore.

Il resto sono frottole, come l’esistenza delle sirene.

sabato 5 settembre 2015

CAPIRE IL JOBS ACT: SI POTRANNO CEDERE FERIE A COLLEGA CON IL FIGLIO MALATO

I lavoratori potranno cedere, a titolo gratuito, a colleghi (dipedenti dallo stesso datore di lavoro), i riposi e le ferie maturate, per assistere figli minori che, per particolari condizioni di salute, hanno bisogno di assistenza e cure costanti da parte dei genitori. E' quanto prevede il decreto attuativo del jobs act, in "Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunita'", approvato ieri dal Consiglio dei ministri. La cessione potra' avvenire pero' solo tra lavoratori che svolgono mansioni di pari livello e categoria, escludendo i giorni di riposo e di ferie minimi garantiti dalla legge. Inoltre, i datori di lavoro privati potranno assumere i lavoratori con disabilita' mediante la richiesta nominativa ma non potranno effettuare l'assunzione diretta. E' quanto prevede il decreto attuativo del Jobs act, relativo alla razionalizzazione e semplificazione di procedure e adempimenti, "in linea - spiega il testo - con quanto richiesto dal Parlamento". Potranno quindi essere assunti solo lavoratori disabili inseriti nelle apposite liste. L'incentivo per il datore di lavoro per le assunzioni di disabili sara' corrisposto direttamente dall'Inps mediante conguaglio nelle denunce contributive mensili. Gli incentivi saranno rafforzati, con una durata piu' lunga in caso di assunzione di persone con disabilita' intellettiva e psichica.


mercoledì 2 settembre 2015

BOLLETTE, RICEVUTE, PAGAMENTI, DICHIARAZIONE DEI REDDITI, MULTE, BOLLI. ECC... QUANTO DEBBO CONSERVARLI?

La conservazione documenti come bollette pagate, quietanze, ricevute di pagamento di affitto o bollo e tasse è molto importante perché a volte rappresentano l'unica difesa del consumatore. Molte spesso capita infatti che pagamenti regolarmente effettuati dal cliente vengano richiesti anche più volte dallo stesso gestore perché "dicono" di non ancora ricevuto il pagamento e per questo richiedono la dimostrazione del versamento effettuato con la copia della bolletta pagata via fax o per email. 
Per non rischiare quindi di pagare due volte lo stesso importo perché si è buttata prima del tempo la ricevuta, bisogna fare attenzione a cosa dice la legge circa i tempi di prescrizione del credito.

Conservazione dei documenti: cosa dice la legge?
La conservazione dei documenti è regolata dall’articolo 2934 del Codice civile che stabilisce che "ogni diritto disponibile si estingue allorché il titolare del diritto stesso non lo esercita per un determinato periodo di tempo". Ciò significa che i termini di conservazione dipendono dalla tipologia di documenti che prevedono diversi tempi di prescrizione dei relativi diritti. Qualora non specificato dalla legge, si applica il termine ordinario di prescrizione che è di 10 anni. 
Vi sono poi atti e documenti che per la loro natura e importanza è bene conservare per sempre come ad esempio le sentenze di separazione, divorzio, atti notarili, documentazione sanitaria, buste paga, contratto di lavoro e così via.

Bolli auto conservati per 3 anni:
Le ricevute del bollo auto non vanno buttate prima dei 3 anni. Il termine dopo il quale il bollo cade in prescrizione è infatti dopo il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello dell'avvenuto pagamento. Per cui se si paga il bollo il 20 gennaio 2015 la ricevuta va conservata fino al 31 dicembre 2018. Dopo questo termine il pagamento non può essere richiesto nuovamente al contribuente. Discorso a parte se il mancato pagamento viene iscritto a ruolo e notificato per mezzo di cartella di pagamento esattoriale. In questo caso, se non si dimostra l'effettivo pagamento del bollo, si è costretti a pagare il debito con i relativi interessi. Stesso periodo di conservazione e prescrizione, quindi di 3 anni, anche per le cambiali e per le parcelle pagate a professionisti e i compensi per artigiani sempre che queste ultime due voci, non rientrino ai fini fiscali nella dichiarazione dei redditi con il cd. Ecobonus ristrutturazioni edili e risparmio energetico. In questo caso, tali ricevute vanno conservate per 10 anni, periodo di ripartizione della spesa + altri 4 anni per la verifica sull'ultima dichiarazione.

Bollette pagate di gas, luce, acqua e telefono:
Quanti anni si conservano le bollette? Le bollette pagate di gas, luce, acqua, telefono e tutto ciò che rientra nell'erogazione di servizi pubblici di consumo, devono essere conservate per 5 anni a partire dalla data di pagamento della bolletta. In questo lasso di tempo, il gestore del pubblico servizio, può richiedere copia del pagamento come dimostrazione della regolarità del versamento. Quindi se si paga una bolletta il 10 ottobre 2014 si può buttare solo dopo 5 anni e solo dopo il 31 dicembre, quindi dal 1° gennaio 2020 il credito cade in prescrizione e quindi non è più esigibile da parte del gestore e il cliente ha diritto a non dover dimostrare il pagamento.
Se invece la bolletta è stata buttata prima dei 5 anni, il cliente dovrà ripagare la bolletta che non risulta contabilizzata dal gestore perché non può dimostrare l'effettivo pagamento. 

Dichiarazioni dei redditi:
Le dichiarazione dei redditi vanno conservate per 4 anni per cui gli avvisi di accertamento vanno notificati al contribuente al massimo entro il 31 dicembre del 4° anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Se si presenta la dichiarazione dei redditi con il modello 730 2015 o Unico 2015 la richiesta di accertamento fiscale può essere quindi fatta entro il 31 dicembre 2019, se fatta successivamente la notifica è da ritenersi nulla perché sono prescritti i termini. In caso invece di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, ovvero, mancata presentazione del 730 o Unico o nulla, l'avviso di accertamento fiscale può essere notificato entro il 31 dicembre del 5° anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, per cui entro il 2020 nell'esempio di cui sopra. Il 31 dicembre 2014 scadranno invece i termini per l'accertamento nei confronti dei contribuenti che hanno presentato nell'anno 2010 il modello 730, Irap, Unico e IVA.

Per quanto tempo si conservano le multe?
Per quanto si conservano le contravvenzioni? Le ricevute di pagamento di multe e contravvenzioni stradali vanno conservate per 5 anni. Secondo infatti la sentenza 5828/2005 della Corte di cassazione, i 5 anni è il tempo necessario perché cadano in prescrizione i crediti per le sanzioni inflitte in base all'articolo 209 del Codice della strada. Se la multa viene inviata quindi superato detto termine o ne viene richiesto nuovamente il pagamento, il cittadino non è obbligato a pagare.

Conservazione ricevute di pagamento da 1 a 5 anni:
Le ricevute di pagamento che riguardano iscrizioni scolastiche o palestre, attività sportiva in generale, devono essere conservate per 1 anno. Il periodo di conservazione passa però a 5 anni, se tali ricevute sono state utilizzate dal contribuente nella dichiarazione dei redditi con Modello 730 o Unico a fini fiscali in qualità di spese detraibili IRPEF.
Le ricevute di pagamento che vanno conservate per 5 anni sono invece:
Ricevute di pagamento tasse vanno conservate per 5 anni, ossia, fino al 31 dicembre del quinto anno successivo al versamento.
Pagamenti rateali e mutui: le ricevute vanno conservate fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata effettuata la detrazione degli interessi passivi pagati.
Ricevute di canone di locazione: sono da conservare per 5 anni. Dal momento che la Legge di Stabilità 2014 ha vietato di pagare il canone di affitto in contanti per le locazioni ad uso abitativo, i bonifici e gli assegni  possono comunque essere utilizzati per dimostrare l'avvenuto pagamento del canone di locazione.
Assicurazioni auto e moto, polizze vita e casa: se il contratto assicurativo non prevede un termine prefissato, la quietanza di pagamento deve essere conservata per 1 anno, mentre le polizze vita se utilizzate ai fini fiscali, devono essere conservate per 5 anni.
Spese mediche vanno conservate per 5 anni, soprattutto se vengono portate a detrazione spese mediche IRPEF dichiarazione dei redditi con modello 730 e Unico, e se dichiarate anche per familiari a carico secondo quanto previsto dalla legge.
Ricevute di pagamenti IMU e TASI: la conservazione delle ricevute di pagamento di F24 o bollettini, decorre a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui è stato effettuato il versamento. Per cui se l'IMU è stata pagata il 16 giugno in acconto e il 16 dicembre il saldo,  la conservazione parte dal 1° gennaio 2015 per 5 anni.

Ricevute da conservare per 10 e 15 anni anni quali sono?
Le ricevute di pagamento che vanno conservate per 15 anni sono:
Ricevute per spese di ristrutturazione della casa:  il periodo di conservazione finisce il 31 dicembre del 15° anno successivo a quello in cui il contribuente ha avuto la detrazione dell’ultima quota dello sconto IRPEF del 50% se le spese sostenute pagate con bonifico sono state effettuate dal 26 giugno 2012 al 31dicembre 2015, fruend quindi del cd. Ecobunus, analoga procedura per la documentazione degli interventi di risparmio energetico per i quali spetta una detrazione Irpef del 65% fino al 31 dicembre 2015.
Ricevute da conservare per 10 anni: la ricevuta di pagamento della Tassa sui rifiuti va conservata per 10 anni, per cui solo dopo il 31 dicembre del decimo anno successivo a quello in cui è avvenuto il versamento della tassa, non può più essere richiesta dal gestore.
Canone TV abbonamento RAI: un tempo la conservazione del canone Rai era solo per 5 anni ma una sentenza della Cassazione ha di fatto allungato il termine e quindi la prescrizione a 10 anni.


(FONTE: GUIDAFISCO.IT)

CONGEDO BIENNALE RETRIBUITO, LEGGE 151/2001. ISTRUZIONI PER L'USO

I congedi retribuiti biennali sono definiti inizialmente dalla Legge 388/2000 (articolo 80, comma 2, poi ripreso dall’articolo 42, comma 5 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151) che ha integrato le disposizioni previste dalla Legge 53/2000 introducendo l'opportunità, per i genitori di persone con handicap grave, di usufruire di due anni di congedo retribuito. Medesima opportunità veniva offerta ai lavoratori conviventi con il fratello o sorella con handicap grave a condizione che entrambi i genitori fossero “scomparsi”. Successivamente, la Corte Costituzionale ha riconosciuto varie eccezioni di legittimità costituzionale che hanno ampliato la platea degli aventi diritto.
Da ultimo, tuttavia, il Decreto Legislativo del 18 luglio 2011, n. 119 ha profondamente rivisto la disciplina dei congedi retribuiti di ventiquattro mesi, in particolare per quanto riguarda gli aventi diritto e le modalità di accesso all’agevolazione.
Gli aventi diritto
Il Decreto Legislativo 119/2011, pur confermando i beneficiari potenziali (coniuge, genitori, figli, fratelli e sorelle) previsti dalla normativa e dalla giurisprudenza precedente, fissa condizioni diverse di priorità nell’accesso ai congedi. Successivamente la Sentenza 18 luglio 2013, n. 203 ha ulteriormente modificato la platea dei beneficiari, ammettendo, in casi particolari, al beneficio anche i parenti ed affini fino al terzo grado. L’ordine di priorità è: coniuge, genitori, figli, fratelli e sorelle. Rimane ferma la condizione dell’assenza di ricovero con le eccezioni che vedremo in seguito. Il primo beneficiario è, quindi, il coniuge convivente con la persona gravemente disabile. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi (anche se non conviventi con il figlio). Da far rilevare che non viene previsto alcun limite di età di chi dovrebbe assistere il disabile. In caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del «padre e della madre» (nel testo è usata la formula congiuntiva “e”, non quella disgiuntiva “o”), anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi. Se anche i figli conviventi sono deceduti, mancanti o invalidi, il beneficio passa ad uno dei fratelli o delle sorelle conviventi.In caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti anche dei fratelli o delle sorelle, il diritto al congedo passa a parenti e affini, comunque conviventi, fino al terzo grado. Nella sostanza parenti e affini fino al terzo grado possono fruire dei congedi sono se gli altri parenti più prossimi (figli, genitori, fratelli) o il coniuge sono mancanti, deceduti o anch’essi invalidi.
La condizione di handicap
Anche nel caso della concessione dei congedi retribuiti di due anni, come nel caso dei permessi lavorativi (art. 33, Legge 104/1992), la condizione essenziale è che il disabile sia stato accertato persona con handicap in situazione di gravità (articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992). Non sono ammesse, a parte per i grandi invalidi di guerra e i soggetti con sindrome di Down, certificazioni di altro genere quali ad esempio il certificato di invalidità totale con diritto all'indennità di accompagnamento o frequenza. Chi non dispone del certificato di handicap deve attivare la procedura di accertamento presentando domanda all’INPS e presentandosi poi a visita presso la Commissione della propria Azienda Usl di residenza. Se questo accertamento riconoscerà l’handicap grave (articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992) si potranno richiedere i congedi retribuiti di due anni qualora ricorrano anche le altre condizioni previste. Va anche ricordato che, nel caso il certificato di handicap grave venga revocato nel corso del congedo retribuito, il beneficio decade immediatamente. Così pure, il congedo non può essere concesso per un periodo che superi l’eventuale termine di validità dello stesso certificato di handicap. In entrambi i casi, infatti, manca il requisito principale per la fruizione del congedo.
Altre condizioni 
La condizione prioritaria ed essenziale per accedere ai congedi biennali retribuiti è che il disabile non sia ricoverato a tempo pieno. Tuttavia il Decreto Legislativo 119/2011, riformulando l’articolo 42 del Decreto Legislativo 151/2001, ha introdotto l’eccezione a questo requisito nel caso in cui la presenza del familiare sia richiesta dalla struttura sanitaria. Questa eccezione, consente la concessione dei congedi nei casi di ricovero ospedaliero, momento in cui la persona può necessitare, spesso ancora più del solito, della vicinanza di un parente. Pur non avendola espressamente previsto il Legislatore, come condizione per la concessione dei congedi, l'assenza di attività lavorativa da parte della persona disabile da assistere, è condivisa interpretazione degli istituti previdenziali che i congedi biennali non debbano essere concessi se il disabile sia egli stesso lavoratore. In particolare l’INPS ha fornito tale indicazione nella Circolare 15 marzo 2001, n. 64 (al punto 3): “Lo spirito e le finalità della legge, invece, escludono che il beneficio in argomento sia concedibile se la persona handicappata da assistere presti, a sua volta, attività lavorativa nel periodo di godimento del congedo da parte degli aventi diritto (...).” L’INPDAP (di riferimento per i pubblici dipendenti) ha dato indicazioni di pari tono nella sua Circolare 12 maggio 2004, n. 31: “a condizione che questi ultimi [i disabili da assistere, Ndr] non siano ricoverati a tempo pieno presso istituti specializzati e non prestino attività lavorativa.” Da ultimo, tuttavia, la Direzione generale per l’attività ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la risoluzione 6 luglio 2010, n. 30 in risposta ad un specifico interpello, ha ritenuto che la necessità o meno di assistenza, per il periodo di svolgimento dell’attività lavorativa da parte del disabile, andrebbe valutata caso per caso, e che “non sembra conforme allo spirito della normativa porre, a priori, un limite alla fruizione del congedo da parte di colui che assiste il familiare disabile”.
La convivenza
Come detto il requisito della convivenza è richiesto nel caso il congedo retribuito sia richiesto dal coniuge, dai fratelli, dalle sorelle o dai figli della persona con handicap grave. Il concetto di “convivenza” tuttavia non è stato esplicitato dal Legislatore, né trova nessuna definizione nel Codice Civile. Dopo indicazioni di avviso diverso da parte di INPS, il Ministero del Lavoro ha fornito in modo dirimente, l’esatta interpretazione del concetto di convivenza.
Con la Lettera Circolare del 18 febbraio 2010, Prot. 3884, il Ministero del Lavoro afferma che “al fine di addivenire ad una interpretazione del concetto di convivenza che faccia salvi i diritti del disabile e del soggetto che lo assiste, rispondendo, nel contempo, alla necessità di contenere possibili abusi e un uso distorto del beneficio, si ritiene giusto ricondurre tale concetto a tutte quelle situazioni in cui, sia il disabile che il soggetto che lo assistite abbiano la residenza nello stesso Comune, riferita allo stesso indirizzo: stesso numero civico anche se in interni diversi.” 
Questo significa che i lavoratori che non siano in grado di dimostrare – evidentemente con il certificato di residenza – di abitare presso lo stesso numero civico del familiare da assistere non possono accedere al congedo. La disposizione del Ministero del lavoro è cogente sia nel comparto pubblico che in quello privato.
Durata
L’articolo 42, comma 5 bis, del Decreto Legislativo n. 151/2001, nella più recente formulazione, stabilisce che il congedo non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa. Tale esplicitazione normativa, introdotta dal Decreto 119/2011 conferma le precedenti indicazioni univoche degli istituti previdenziali (Circolare INPS 15 marzo 2001, n. 64, Circolare INPDAP 10 gennaio 2002, n. 2).
L’INPS sottolinea che anche in presenza di “pluralità di figli portatori di handicap, [...] non è mai possibile per lo stesso lavoratore fruire del “raddoppio”” dei congedi. Non dissimile la precisazione dell’INPDAP: “Il periodo massimo di congedo (due anni) si applica complessivamente a tutti gli interessati, nell'arco della vita lavorativa di tutti, e può essere fruito alternativamente dagli aventi diritto. I periodi di congedo straordinario rientrano nel limite massimo dei due anni di congedo, anche non retribuito, che può essere richiesto da ogni lavoratore, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, della legge 53/2000 “per gravi e documentati motivi familiari”.”
In sintesi: il lavoratore che ha già fruito del congedo non retribuito, non può avvalersi del congedo biennale retribuito; allo stesso modo, il lavoratore che debba assistere due familiari con handicap grave non può godere del raddoppio e cioè di quattro anni di astensione retribuita.
Frazionabilità
Sotto il profilo operativo gli enti previdenziali ammettono il frazionamento fino alla giornata intera; non è ammesso il frazionamento ad ore. In linea generale va precisato che nel caso di frazionamento in settimane o in giornate, si computano anche i giorni festivi nel caso in cui non vi sia effettiva ripresa del lavoro, nella prima giornata lavorativa successiva. Un esempio: una frazione del congedo viene fruito dal lunedì al venerdì; il sabato e la domenica non si lavora: se il lunedì, lavorativo, non si rientra in servizio effettivo (ferie, altri permessi ...), vengono computati nel “monte” dei due anni anche il sabato e la domenica o gli altri giorni festivi.
Questa indicazione viene esplicitata dall’INPS nella propria Circolare n. 64/2001. Anche l’INPDAP, da parte sua, nella Circolare n. 31/2004 precisa che il congedo può essere richiesto anche in modo frazionato e che, in tal caso, è necessaria l'effettiva ripresa del lavoro tra un periodo di assenza ed il successivo.
Cumulabilità fra permessi e congedi
Il congedo, come pure i permessi di cui articolo 33, comma 3 della Legge 104/1992 non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona. È il principio del “referente unico” per l’assistenza che di fatto impedisce che i permessi o il congedo frazionato possano essere fruiti, ad esempio, un mese da un fratello e il mese successivo da una sorella.
L’articolo 42, comma 5 bis, prevede un’eccezione nel caso di genitori: per l'assistenza allo stesso figlio con handicap, il diritto al congedo è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente. Negli stessi giorni, tuttavia, l'altro genitore non può fruire dei (tre) giorni di permesso (Legge 104) né del congedo parentale frazionato 33 (tre anni fino al compimento dell’ottavo anno di età). Dopo l’entrata in vigore del Decreto 119/2011 è quindi superata l’indicazione espressa dal Dipartimento Funzione Pubblica con Parere n. 1/2007. Rifacendosi alle indicazioni del previgente articolo 42 del Decreto 151, il Dipartimento riteneva che «durante il periodo di congedo usufruito da un genitore, in modo continuativo o frazionato, sia l’uno che l’altro genitore non possono beneficiare nello stesso mese dei tre giorni di permesso o degli equivalenti permessi orari previsti dall’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992». 
La retribuzione
L’articolo 42, comma 5 ter del Decreto Legislativo n. 151/2001 prevede che durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento (precisazione introdotta dal Decreto 119/2011). Il periodo di congedo è coperto da contribuzione figurativa. L’indennità e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo di euro 44.276,32 annui per il congedo di durata annuale. L’importo (quello citato è relativo al 2011) viene rivalutato annualmente sulla base della variazione dell'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. L'indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. I datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l’importo dell’indennità dall’ammontare dei contributi previdenziali dovuti all’ente previdenziale competente. Nella sostanza il datore di lavoro anticipa l’indennità e poi la detrae dalla somma dei contributi previdenziali che normalmente versa all’istituto previdenziale (es. INPS).
Le ferie, tredicesima mensilità e TFR 
Il comma 5-quinquies, articolo 42 del Decreto 151/2001, precisa che durante la fruizione del congedo retribuito non si maturano ferie, tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto.
La domanda
Per fruire del congedo retribuito (frazionato o completo) il lavoratore deve presentare una specifica domanda, allegando documentazione, dichiarazioni, indicazioni.
L’articolo 42, comma 5 del Decreto 151/2001 precisa che ha diritto a fruire del congedo entro sessanta giorni dalla richiesta.
L’iter è diverso a seconda che si tratti di un dipendente pubblico, di un dipendente privato assicurato con INPS o di un dipendente assicurato con altri enti previdenziali. 
Lavoratori assicurati INPS
Il congedo retribuito si ottiene, nel caso sussistano tutti i requisiti, dopo aver presentato formale richiesta ed aver ricevuto la relativa concessione.
La domanda assume la forma di un’autocertificazione in cui si dichiarano una serie di condizioni personali: stato di handicap, la parentela con la persona da assistere, i dati anagrafici e identificativi dell’azienda e altre indicazioni, se richieste. Ulteriori indicazioni devono essere inserite rispetto alla modalità di fruizione (frazionata o per intero).
La domanda deve essere accompagnata dal certificato di handicap con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992) relativo alla persona da assistere.
Gli assicurati INPS, per la presentazione della domanda hanno a disposizione dei moduli che sono reperibili presso le sedi INPS o nel sito dell’Istituto (www.inps.it, sezione “Moduli”). I moduli sono i seguenti:
- per i genitori con figli o affidati con disabilità grave, il modulo Hand4
- per il fratello o la sorella di una persona con disabilità grave, il modulo Hand5
- per il coniuge con disabilità grave, il modulo Hand6
- per il genitore con disabilità grave, il modulo Hand7.
La domanda va presentata all’INPS che ne verifica la sola correttezza formale e ne dà l’assenso. Va poi presentata anche al datore di lavoro cui, di recente, è stata attribuita la competenza di verificare la correttezza sostanziale per l’accettazione della domanda.
Lavoratori privati non assicurati con INPS
Alcuni lavoratori del comparto privato, fanno riferimento a propri istituti previdenziali. Bisogna innanzitutto appurare se questi abbiano provveduto a definire i criteri operativi per l’accesso ai congedi lavorativi ed abbiamo predisposto appositi moduli.
Va ricordato che il diritto a questi benefici, spetta anche in assenza di indicazioni operative. Possiamo comunque fornire alcune indicazioni generali. La domanda che si presenta assume la forma di un’autocertificazione in cui si dichiarano una serie di condizioni personali: stato di handicap, la parentela con la persona da assistere, dati anagrafici del lavoratore, della persona da assistere, i dati identificativi dell’azienda e altre indicazioni, se richieste.
Ulteriori indicazioni devono essere inserite rispetto alla modalità di fruizione (frazionata o per intero). La domanda va accompagnata dalla certificazione di handicap grave (art. 3 comma 3, della Legge 104/1992) relativa alla persona da assistere. La domanda va presentata al dirigente responsabile individuato dall’azienda (in alcuni enti la competenza è attribuita l’Ufficio personale e risorse umane, in altre realtà è attribuita direttamente al responsabile dell’unità o del servizio cui afferisce il dipendente) e all’istituto previdenziale di riferimento.
Alla domanda deve seguire una risposta di convalida o di motivato rigetto.



WHIRLPOOL/INDESIT: SETTEMBRE MESE INTENSO

E' iniziato settembre, il mese in cui comincia l'integrazione tra Whirlpool e Indesit secondo quanto stabilito dall'accordo quadro siglato a Roma lo scorso 2 luglio e giunto al termine della lunga trattativa dei mesi scorsi. Dopo la pausa feriale di agosto, a settembre come annunciato lo stabilimento di Melano non effettuerà fermate collettive per cassa integrazione straordinaria, mentre saranno 8 le giornate di stop collettivo per il sito di Albacina. A Melano che come contenuto nel piano industriale, diventerà il polo europeo-mediterraneo di Whirlpool per la produzione di piani cottura a gas ed elettrici, sono cominciate le prime preserie dei prodotti che saranno spostati in loco dallo stabilimento polacco di Wroclaw, nella linea prelevata da questo, nell'ottica della riorganizzazione delle produzioni. Intanto a giorni sono previste le conciliazioni da parte dei lavoratori di Melano, Albacina e degli impiegati che beneficeranno degli incentivi contenuti nella griglia stabilita in seno all'intesa e che usciranno quindi dal perimetro Indesit. Settembre è anche il mese in cui è calendarizzata (la data non è ancora nota) la riunione territoriale per avviare la discussione per l'implementazione del piano industriale che porterà l'integrazione tra Melano e Albacina, con la discussione approfondita sugli investimenti di processo e di prodotto, stimati in 25 milioni di €. ed il cronoprogramma dei lavori previsti, ma altresì anche le modalità di esodo dei lavoratori dei due stabilimenti, secondo quei principi contenuti nell'accordo quadro. Inoltre a livello impiegatizio dal 1° settembre è partita anche l'implementazione dell'organizzazione funzionale unificata delle attività amministrative che avverrà in maniera progressiva; ove il lavoratore avesse ricevuto la proposta di trasferimento in altra sede richiesta dal ruolo come noto avrà dodici mesi per valutare l'interesse ed accettare l'offerta oppure proferire diniego alla stessa.