Nei primi nove mesi dell’anno si è attestato al 6% il rendimento medio offerto dai fondi pensione negoziali, aziendali o di categoria. I migliori rendimenti sono stati ottenuti dai comparti più aggressivi, tutti in doppia cifra. Il Tfr (il 6,91% della retribuzione lorda) nello stesso periodo ha reso invece l’1%, al netto dell’aliquota dell’ 11%: la liquidazione mantenuta in azienda si rivaluta con un tasso dell’1,5%, più il 75% dell’indice del costo della vita. La deflazione che caratterizza il nostro paese ha portato a un risultato cui non si assisteva da molti anni a questa parte: la rivalutazione del Tfr è stata ottenuta solo grazie alla quota fissa (appunto l’1,5%), rapportata ai primi nove mesi dell’anno.
Malgrado il ritocco (scattato il 24 giugno scorso) nella tassazione sulle performance, passata dall’11% all’ 11,5%, la previdenza integrativa conferma insomma il suo andamento positivo. E anche nel medio termine vince alla grande sul Tfr: fra il primo gennaio 2000 e il 30 settembre scorso, tutti i tre fondi chiusi maggiori esistenti all’inizio del periodo considerato hanno battuto nettamente il 47,5% della liquidazione. Il migliore è stato Fondenergia (energia e petrolio) con il 68,1%, seguito da Cometa (industria metalmeccanica e orafa) con il 61,5% e da Fonchim (chimica e farmaceutica) con il 59,5%.
Se i rendimenti ottenuti sono di tutto rispetto, però, la previdenza complementare stenta a decollare, anche a causa della crisi economica. In base ai dati della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione, guidata da Rino Tarelli), al 30 giugno scorso gli aderenti erano 6,386 milioni (di cui 4,446 milioni dipendenti privati), grosso modo un lavoratore su quattro.
Ma all'orizzonte si sta prospettando una sorpresa negativa, un vero e proprio siluro lanciato dal governo Renzi verso il sistema previdenziale e che rischia di farlo affondare o quanto meno minarne le fondamenta. Evidentemente i consiglieri economici del premier non conoscono il senso del termine: "tasso di sostituzione", ossia quanto sarà la pensione che si percepirà rispetto all'ultimo stipendio. Ebbene le pensioni del futuro scenderanno dal 75-80% attuale dell'ultimo stipendio a cifre attorno al 50 - 55% e la necessità delle pensioni integrative per non fare la fame da vecchi, risulta essere un imperativo categorico per assicurarsi una quiescenza decente, piuttosto che avere pochi spiccioli da spendere oggi, magari per pagarci le bollette piuttosto che rilanciare i consumi....
La bozza della legge di Stabilità prevede, però, due misure che rischiano di compromettere lo sviluppo di un sistema che per milioni di lavoratori sarà sempre più necessario: la prima è la possibilità, anche per gli iscritti ai fondi pensione, di ottenere in busta paga per tre anni l’accantonamento futuro del Tfr, che rappresenta la principale fonte di contribuzione. La seconda è un balzo in avanti (dall’attuale 11,5% al 20%) della tassazione sui rendimenti annuali degli strumenti previdenziali. L'operazione per trasferire il Tfr in busta paga - così come riferisce la bozza del governo - partirà dal primo marzo 2015 e sarà attuata fino al 30 giugno 2018 in via sperimentale. I lavoratori dipendenti del settore privato potranno quindi ricevere il contributo del trattamento di fine rapporto insieme al proprio stipendio. I beneficiari saranno coloro che, prima di tutto lo richiederanno,ma che dovranno avere un rapporto di lavoro da almeno sei mesi presso lo stesso datore. Inoltre la parte integrativa della retribuzione sarà tassata e non imponibile a fini previdenziali. La richiesta volontaria è irrevocabile fino al 30 giugno 2018.
Se saranno confermate, e la bozza del governo non subirà modifiche in Parlamento da qui a dicembre, queste due misure rappresenteranno una pesante ipoteca sullo sviluppo del settore. Un brusco stop allo sviluppo della previdenza complementare, inoltre, avrebbe un altro, pesante effetto collaterale. «I rendimenti positivi sono stati ottenuti grazie a scelte gestionali molto prudenziali, che hanno privilegiato soprattutto i titoli di Stato dell’area dell’euro. I fondi pensione hanno aumentato gli investimenti nell’economia italiana, in particolare nelle piccole e medie imprese; un rallentamento nella crescita dei patrimoni rischia di rallentare questo processo».
Malgrado il ritocco (scattato il 24 giugno scorso) nella tassazione sulle performance, passata dall’11% all’ 11,5%, la previdenza integrativa conferma insomma il suo andamento positivo. E anche nel medio termine vince alla grande sul Tfr: fra il primo gennaio 2000 e il 30 settembre scorso, tutti i tre fondi chiusi maggiori esistenti all’inizio del periodo considerato hanno battuto nettamente il 47,5% della liquidazione. Il migliore è stato Fondenergia (energia e petrolio) con il 68,1%, seguito da Cometa (industria metalmeccanica e orafa) con il 61,5% e da Fonchim (chimica e farmaceutica) con il 59,5%.
Se i rendimenti ottenuti sono di tutto rispetto, però, la previdenza complementare stenta a decollare, anche a causa della crisi economica. In base ai dati della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione, guidata da Rino Tarelli), al 30 giugno scorso gli aderenti erano 6,386 milioni (di cui 4,446 milioni dipendenti privati), grosso modo un lavoratore su quattro.
Ma all'orizzonte si sta prospettando una sorpresa negativa, un vero e proprio siluro lanciato dal governo Renzi verso il sistema previdenziale e che rischia di farlo affondare o quanto meno minarne le fondamenta. Evidentemente i consiglieri economici del premier non conoscono il senso del termine: "tasso di sostituzione", ossia quanto sarà la pensione che si percepirà rispetto all'ultimo stipendio. Ebbene le pensioni del futuro scenderanno dal 75-80% attuale dell'ultimo stipendio a cifre attorno al 50 - 55% e la necessità delle pensioni integrative per non fare la fame da vecchi, risulta essere un imperativo categorico per assicurarsi una quiescenza decente, piuttosto che avere pochi spiccioli da spendere oggi, magari per pagarci le bollette piuttosto che rilanciare i consumi....
La bozza della legge di Stabilità prevede, però, due misure che rischiano di compromettere lo sviluppo di un sistema che per milioni di lavoratori sarà sempre più necessario: la prima è la possibilità, anche per gli iscritti ai fondi pensione, di ottenere in busta paga per tre anni l’accantonamento futuro del Tfr, che rappresenta la principale fonte di contribuzione. La seconda è un balzo in avanti (dall’attuale 11,5% al 20%) della tassazione sui rendimenti annuali degli strumenti previdenziali. L'operazione per trasferire il Tfr in busta paga - così come riferisce la bozza del governo - partirà dal primo marzo 2015 e sarà attuata fino al 30 giugno 2018 in via sperimentale. I lavoratori dipendenti del settore privato potranno quindi ricevere il contributo del trattamento di fine rapporto insieme al proprio stipendio. I beneficiari saranno coloro che, prima di tutto lo richiederanno,ma che dovranno avere un rapporto di lavoro da almeno sei mesi presso lo stesso datore. Inoltre la parte integrativa della retribuzione sarà tassata e non imponibile a fini previdenziali. La richiesta volontaria è irrevocabile fino al 30 giugno 2018.
Se saranno confermate, e la bozza del governo non subirà modifiche in Parlamento da qui a dicembre, queste due misure rappresenteranno una pesante ipoteca sullo sviluppo del settore. Un brusco stop allo sviluppo della previdenza complementare, inoltre, avrebbe un altro, pesante effetto collaterale. «I rendimenti positivi sono stati ottenuti grazie a scelte gestionali molto prudenziali, che hanno privilegiato soprattutto i titoli di Stato dell’area dell’euro. I fondi pensione hanno aumentato gli investimenti nell’economia italiana, in particolare nelle piccole e medie imprese; un rallentamento nella crescita dei patrimoni rischia di rallentare questo processo».
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