venerdì 20 marzo 2015

SINDACATI - PARTITI? ERRORE DA EVITARE - LETTERA DI ANNAMARIA FURLAN AL CORRIERE DELLA SERA DI OGGI

(Annamaria Furlan in occasione del recente incontro in Ancona)
"Caro direttore, se non si rifondano strumenti cardine della partecipazione e della rappresentanza come partiti e sindacati, ad andarci di mezzo sarà la democrazia" (Lettera di Annamaria Furlan al direttore del Corriere della Sera del 20 marzo 2015)
Caro direttore, se non si rifondano strumenti cardine della partecipazione e della rappresentanza come partiti e sindacati, ad andarci di mezzo sarà la democrazia. Ha ragione Paolo Franchi a sostenere (Corriere della Sera, 18 marzo) che il tema della soggettività politica e «autonoma» del sindacato non possa essere oggi liquidato solo sulla base dell'attivismo mediatico del leader della Fiom, Maurizio Landini, né tantomeno ricondotto alle alchimie sul futuro della sinistra italiana. La posta in gioco è molto più alta.
Franchi pone una questione seria: in Italia esiste oggi un problema di rappresentanza non solo politica ma anche sindacale per effetto di una progressiva verticalizzazione delle istituzioni che vogliono ricondurre tutto il gioco democratico in un rapporto diretto tra il leader di turno e gli elettori (peraltro sempre in calo nelle varie consultazioni), saltando ogni forma di mediazione sociale con i corpi intermedi.
L'idea di un sindacato che assume responsabilità politica è un elemento determinante per garantire il consenso nel governo di una società complessa. La strategia della Cisl è stata sempre quella di mantenere fermo il principio dell'autonomia e della distinzione di ruoli tra partito politico e sindacato, sostenendo con coerenza la linea che una democrazia moderna abbia bisogno del consenso e della partecipazione della società civile per garantire le esigenze di tutte le persone, a partire dai lavoratori, dai soggetti più deboli ed emarginati. 
È il ruolo di mediazione essenziale che il sindacato italiano ha esercitato in tantissime vicende economiche: penso alle nostre proposte sul risparmio contrattuale di fine anni Settanta, all'accordo di San Valentino del 1984 o alla positiva stagione della concertazione dei primi anni Novanta. Significa, da una parte, stare in campo con una contrattazione moderna e partecipativa in tutti gli ambiti lavorativi e nei processi aziendali, stipulando accordi per favorire gli investimenti, legando il salario ai risultati e alla produttività, uscendo dal rivendicazionismo sterile e antagonistico che tanto permane nella tradizione di altri sindacati come la Fiom.
Dall'altra parte, formulare anche sul piano macroeconomico proposte e soluzioni responsabili sullo sviluppo sostenibile, la politica industriale, la redistribuzione più equa della ricchezza, la riorganizzazione del welfare e della pubblica amministrazione, le tutele previdenziali, la scuola, la riduzione del divario Nord-Sud, la lotta alla corruzione. 
Il sindacato non può diventare l'incubatore o il soggetto catalizzatore per la nascita di un movimento politico, alternativo o di contrapposizione ai governi e alle sue politiche. La risposta ai nostri problemi non è oggi la «coalizione sociale» o urlare in piazza più degli altri. Questo è l'errore sindacale e il grande limite della proposta di Landini, frutto di una stagione politica molto confusa, tutta autoreferenziale e fondata sull'autosufficienza del Governo.
È chiaro che dobbiamo recuperare rappresentanza in tutti gli ambiti lavorativi, cercando di intercettare e tutelare soprattutto con i contratti le forme nuove di occupazione e i nuovi bisogni delle persone. Ma dobbiamo saper anche interpretare in maniera moderna i cambiamenti del Paese, diventare soggetto di crescita e di sviluppo, operare una mediazione intelligente tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Concorrere, insieme agli altri corpi sociali, alla costruzione di una vera «architettura» di governo.
Verificheremo se sarà possibile riprendere un'unità d'azione con Cgil e Uil, facendo chiarezza proprio su quale debba essere oggi il ruolo del sindacato e sugli obiettivi comuni da raggiungere. I padri fondatori della Cisl, Giulio Pastore e Mario Romani, sostenevano che la soggettività politica del sindacato si esprime nel saper conciliare gli interessi che rappresenta con l'interesse generale. È una esigenza che vale oggi per tutti i corpi intermedi che non possono essere ricondotti dalla politica al ruolo di lobby.
La democrazia rappresentativa non si esaurisce nel rapporto tra istituzioni e partiti. Ecco perché la Cisl ha sempre cercato di allargare le sue alleanze sociali in una logica di «autogoverno» della società e di protagonismo associativo. Ma la nostra rappresentanza sociale non deriva dal rapporto con gli altri movimenti. Il nostro mandato viene esclusivamente dai posti di lavoro. Questa è la condizione essenziale per dispiegare l'autonomia del sociale, perché la sua azione possa trovare spazio e sbocchi, interagendo in un rapporto paritario con tutti i governi e con tutti i partiti.

Nessun commento:

Posta un commento